B come Bouchard. Nel senso di Geoffrey, ciclista francese della Ag2r. Ha un nome britannico, anche per come è scritto: tipico caso di variante inglese. E’ uno dei rari sportivi che sui profili social indica non solo la marca delle sue scarpe, ma pure delle solette: è puntiglioso anche quando lavora coi piedi. E’ classificato come scalatore: si trova bene a fare le salite in bici, ad arrampicarsi sulla roccia ancora non ha provato. Si riconosce per la maglia azzurra dei gran premi della montagna, ma soprattutto per lo stridente abbinamento ai pantaloncini marroni del suo team: nel Paese dell’haute couture l’hanno già ribattezzato Maison Bouchard. Vedendolo conciato come un amatore, i dirigenti della Mediolanum hanno pensato che uno dei clienti quotidianamente portati a spasso sul percorso da Bettini e Ballan fosse riuscito a infilarsi nella corsa. Ha ventinove anni e viene da Digione, città famosa per il vino, il gotico e la senape: non necessariamente da consumare insieme. E’ nato il primo d’aprile: per lui è una motivazione in più per dimostrare di non essere uno scherzo. In gara non pensa solo alla sua maglia, ma anche alla squadra, come quando ha aiutato il suo amicone Vendrame a vincere la tappa: purtroppo non era lì quando il suo compagno Naesen si è schiantato contro un guard rail nel tentativo di indossare da solo una mantellina. Già vincitore della classifica scalatori a una Vuelta, il buon Goffredo vuol provare a ripetersi in Italia: se corre col dorsale numero 13 rovesciato è perché fin qui ha fatto tredici ma non vuole che si sappia.
G come Gaviria. Nel senso di Fermando, ciclista colombiano della Uae. Velocista di livello mondiale, viene dalla pista, intesa come velodromi, non come ciclabile. Al Giro ha raccolto cinque successi di tappa, tutti nelle edizioni passate: a chi lo consola dicendo che un anno nero capita a tutti, chiede se il 2020 in cui ha preso due volte il covid sia stato giallo, arancione o rosso. Quest’anno è riuscito nell’impresa di chiudere sei volte nei primi dieci anche se non gliene va dritta una: il suo obiettivo non è più vincere, ma tornare in albergo integro. Ha un treno tutto sudamericano, ma il compagno Molano una volta l’ha spedito contro le pubblicità e un’altra ha fatto da apripista a Sagan: pur connazionali, in volata non parlano la stessa lingua. Ora lo tiene a ruota: così gli sembra che il peggio sia alle spalle. Gli gira talmente male che quando è andato in fuga, dopo un attacco solitario in cima a una salita si è subito schiantato in discesa: classico caso in cui un uomo da volata se la tira da solo. Il top l’ha raggiunto nella tappa di Verona, dove prima gli è sanguinato il naso, poi ha perso la sella nello sprint: da buon Fantozzi gli mancava solo di correre alla bersagliera. Con un filo di voce acuta, chissà perché, si è limitato a commentare: colpa mia, mi avevano avvisato che questa sarebbe stata la tappa di Guerra.
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