C come Caruso. Nel senso di Damiano, ciclista della Bahrain. Ora è lui a guidare una squadra che ha perso pezzi importanti come Landa e Mohoric per incidenti: il primo obiettivo è rendere onore ai caduti. E’ omonimo di uno dei più grandi interpreti dell’opera classica, ma la sua fama non è dello stesso tenore: qualche gara l’ha vinta, ma non si dà delle arie, anche perché gli manca ancora l’acuto. E’ uno dei corridori più affidabili, ha concluso tutti i tredici grandi giri corsi in carriera, più volte nei primi dieci: si può definire una certezza, non una garanzia, perché vista l’età è scaduta. Siciliano di Ragusa, non ha mai spostato casa e famiglia dalla sua terra: la famiglia avrebbe potuto, la casa era troppo ingombrante. Non è un frequentatore di social: per lui Telegram è ancora una comunicazione postale, Tik Tok un modo per bussare alla porta. Salito in classifica col passare delle tappe, ha avuto solo un momento difficile, passando a Forca Caruso: non ha capito se fosse un incitamento scritto male o un invito a darsi all’agricoltura. Sostiene che gli porti bene il nuovo look, nato dopo che gli amici lo hanno sfidato dicendo ‘non hai il coraggio di andare al Giro con i baffi’: per fortuna non hanno pensato a una sciarpa di lana o a un criceto sotto il casco. Baffi normali, curati senza ricercatezza, anche se a un ciclista sarebbero più adatti quelli ‘a manubrio’. Merita un ruolo da protagonista, comunque vada non cambierà nulla: non aveva bisogno di un nuovo aspetto per dimostrare di essere un corridore con i baffi.
M come Martin. Nel senso di Dan, ciclista della Israel Start Up. Da non confondere con Dean, uno che dava spettacolo davvero. E’ uno dei tanti Martin in gruppo (Dan, non Dean): c’è Guillaume il filosofo, Tony la locomotiva e poi c’è lui, senza un’etichetta, come una conserva fatta in casa. Irlandese, non ha il fascino per fare il tronista in tv. E’ figlio di un ex ciclista britannico e della sorella di Roche: nei grandi giri ha preso dal padre. Vive a Andorra, è padre di due bellissime gemelline: in famiglia c’è anche chi ha preso dalla mamma. E’ uomo da corsa dura, intesa al singolare: ha vinto Liegi e Lombardia perché il giorno dopo non c’era un’altra tappa tosta. E’ di quelli che si fa notare all’inizio di una gara a tappe, prima che venga rotto il ghiaccio: è il classico Martin dry. In alcune giornate va a tutta birra, ma pare che il ciclismo non c’entri. Al Giro è tornato sette anni dopo l’ultima apparizione, non proprio memorabile: a Belfast, davanti alla sua gente, cadde rovinosamente a metà cronosquadre e fu velocissimo solo nel tornare a casa. Non il suo anno, visto che pochi giorni prima era finito in terra all’ultima curva della Liegi mentre si avviava a vincerla: da qui il proverbio ‘per un punto Martin perse la corsa’. A Montalcino non ha digerito lo sterrato ed è scivolato in classifica: si dice ‘A San Martino castagne e vino’, a lui è toccata solo la castagna. Così è chiamato alla rimonta in un Giro avviato alla fase decisiva: se dicono che il bello arriva adesso, non è riferito a lui.
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