La quinta tappa del Giro avrebbe dovuto essere una tranquilla giornata di 177 km da Modena a Cattolica, una frazione intermedia per leccarsi le ferite del giorno precedente e ricaricare le energie in vista dell’insidioso arrivo ad Ascoli di domani. La volata era già scritta e di certo non ha deluso le attese, ma quello che certo non ci aspettavamo era una caduta - a 4,4 km dal traguardo - che mettesse fuori gioco un pezzo da novanta come Landa, costretto al ritiro e costringesse Pavel Sivakov, caduto poco prima, ad una lenta pedalata che gli facesse rimediare 13 minuti di ritardo. Eppure questa mattina la maglia rosa de Marchi lo aveva detto che se la sarebbe goduta, ma non troppo, dopo tutto sempre corsa è e basta un attimo per distruggere mesi di preparazione.
Ormai è il problema di sempre, gli spartitraffico in mezzo alla strada, in grado di mettere ko il primo malcapitato, in questo caso Landa che lo ha colpito in pieno. È un problema di sicurezza come dice qualcuno, ma è anche vero che forse dopo tutto i corridori dovrebbero essere abituati a strade e a velocità del genere. «Dall’ammiraglia ci avevano avvisato che il finale avrebbe proposto dei tratti molto tecnici, me lo avranno ripetuto una decina di volte e penso che sia stato lo stesso anche per le altre squadre - dice Thomas De Gendt subito dopo l’arrivo -. Il problema è stare attenti, ma quando si tengono velocità così folli e si deve combattere per tenere le posizioni, il livello di pericolosità sale. Un lavoro fondamentale deve essere compiuto dalla scorta tecnica che con delle bandierine ci segnala i pericoli, ma tante volte nemmeno questo basta».
Il vincitore della giornata Caleb Ewan, informato dell’accaduto dopo il traguardo, spiega l’impossibilità di eliminare completamente ogni pericolo. «iI pericolo c’è ed è reale, penso che sia compito dell’organizzazione metterci nelle condizioni di stare sicuri. Se arriviamo in mezzo ad una città, questo è il rischio, ma non possiamo nemmeno arrivare sempre in mezzo a dei paesini sperduti, altrimenti non ci sarebbe nessuno a vedere. A mio avviso i rischi ci sono sempre ed ovunque, sia che si arrivi in volata a velocità folle che in discesa dopo un gran premio della montagna».
Tutti si aspettavano una giornata tutta dedicata a De Marchi, il primo giorno in rosa a coronamento di un sogno grande grande, invece ecco il rischio di essere messo in secondo piano rispetto alla caduta sfortunata nei chilometri finali. Anche il corridore friulano lo ricorda, ormai la sicurezza è uno dei problemi più vecchi del mondo, ma la responsabilità ricade su tutti.
«Per Landa dispiace e anche tanto, è successo a lui e avrebbe potuto accadere a chiunque altro, sarebbe stata la stessa storia - spiega De Marchi - questa è la dimostrazione che nessuna tappa è scontata o semplice. Quello che è successo oggi ci ricorda che la strada da fare in merito alla sicurezza è ancora lunga, ma non è giusto incolpare l’organizzazione, questa è solo una parte delle responsabilità. Gli altri siamo noi atleti che percorriamo quelle strade, dobbiamo stare attenti alle nostre mosse, ascoltare la radio e tenere gli occhi aperti, basta l’errore di uno per far cadere tutti quanti. Quello che davvero serve è una sinergia tra le due parti, un’attenzione da parte di entrambi. Un modo sicuro di riuscirci? Se lo sapessimo non accadrebbe più nulla di quello che è successo oggi».
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