Alessandro De Marchi ha sempre sognato la maglia rosa, ma mai avrebbe pensato che sarebbe venuta in questo modo, a quasi 35 anni e al termine di una tappa incredibile in cui ha sfiorato per un pelo la vittoria, nei suoi occhi l’emozione per l’enorme traguardo raggiunto e l’incredulità di un bambino. Nelson Mandela una volta era solito dire che un vincitore è un sognatore che non ha mai voluto arrendersi e seppur ampiamente usata talvolta strappata dalle giuste circostanze, non si può fare a meno di pensare che questa definizione calzi a pennello al rosso di Buja. Per lui che è un attaccante nato la maglia rosa è il premio per una vita alla ricerca della fuga perfetta, il lungo inseguimento di un sogno che quasi per magia si è finalmente materializzato.
«È difficile descrivere quello che sto provando in questo momento, è un turbinio di emozioni incredibile. Ho iniziato a pedalare a 7 anni, ne ho quasi 35 e mi viene da ripensare a tutti i tantissimi attacchi che ho fatto durante le corse a cui ho partecipato, molte volte mi hanno accusato di essere troppo generoso, ma io penso di non aver sbagliato nulla. Questa maglia è la dimostrazione che forse, dopo tutto le cose grandi possono succedere anche a me. È strano essere indossare questo sogno, il simbolo che tutti i bambini indicano quando ci vedono passare sulle strade, mi sento quasi fuori posto. Forse solo stasera quando sarò solo capirò quello che è successo».
C’è tanta emozione negli occhi di De Marchi che si lascia andare a qualche lacrima appena si rende conto dell’enorme affetto che il pubblico e tutti i suoi tifosi gli stanno dando, un enorme abbraccio che si è già riversato su tutti i social network.
«Sinceramente non so perché la gente sia così felice, forse perché durante la mia carriera ho seminato bene sul mio terreno - prosegue il friulano portacolori del team Israel Start-Up Nation -: tutto questo affetto mi commuove, è quasi ancora più bello della rosa, significa che forse dopo tutto so fare qualcosa di bello e farmi apprezzare. Mi sono sempre definito un corridore all’antica, fin da quando sono passato professionista con Gianni Savio mi hanno insegnato che il ciclismo è fatica, tutti i nuovi mezzi tecnologici e super accessoriati vengono soltanto dopo, siamo noi i corridori in primo luogo a doverci dare battaglia, dobbiamo attaccare, vietato tirarsi indietro. Dobbiamo far appassionare i nostri tifosi. Forse per alcuni questo stile potrà sembrare sbagliato, ma sono sempre più felice dopo aver passato la giornata in fuga che dopo l’ennesimo piazzamento»
La maglia rosa di De Marchi arriva al termine di una tappa da tregenda, tra il freddo e il diluvio che lo ha visto impegnato a portare via una fuga vincente e nel finale a riportarsi sotto Taramaae e Jensen, per poi terminare in seconda posizione dietro Dombrowski.
«È stata una tappa difficile da interpretare, tutti volevano andare in fuga e davanti al gruppo c’era una bagarre incredibile, sono contento di essere entrato nel tentativo giusto - prosegue la nuova maglia rosa- durante questa tappa ne sono successe di tutti i colori, dall’ammiraglia mi davano i distacchi e mi avevano informato della possibilità della maglia e ad un certo punto pensavo di aver perso l’occasione, poi però abbiamo ricominciato a guadagnare e ci siamo riportati sulla testa. Sapevo che dovevo prestare attenzione a Dombrowski. Lo curavo e nel momento in cui è scattato ho cercato in tutti i modi di andare a riprenderlo, ero come in una bolla, non capivo più esattamente se ci fossi riuscito oppure no. Poi, una volta tagliato il traguardo mi sono visto Valentino Sciotti corrermi incontro, saltava di gioia, era emozionato. Era fatta»
C’è anche una dedica speciale da parte di Alessandro De Marchi che rivolge un pensiero alla moglie e al suo paese natale e anche a Silvia, la ragazza delle sue zone venuta a mancare in seguito ad un incidente. «Questa maglia è dedicata ad Alessandro De Marchi e a mia moglie Anna e logicamente a tutti i miei compaesani, sono sicuro che in questo momento staranno festeggiando e al mio ritorno ci sarà l’ennesima festa. Questo mio importante traguardo lo dedico però anche a Silvia, era un’atleta giovanissima che è stata portata via troppo presto, c’è un pezzo di lei in questa maglia, al Tour of the Alps avevo già tentato di fare qualcosa in suo onore, ma non ci ero riuscito, ora ho il premio più bello di tutti. Al termine del Giro mi recherò dalla famiglia con un pensiero, so che è una piccola cosa, ma spero di poter dare un gesto di vicinanza. Quello che è successo a Silvia non può essere dimenticato, da sempre in questo mondo manca il rispetto, lei è l’ennesima vittima di questa mancanza non solo verso noi ciclisti, ma verso tutti. Purtroppo non è la prima e non sarà nemmeno l’ultima, è compito di tutti quanti fare in modo che le cose cambino».
E poco prima, sul palco del Processo alla Tappa, De Marchi aveva fatto indirettamente un'altra dedica: «Corro con un braccialetto per Giulio Regeni e sono un pò stupito della reazione che si può avere per questo braccialetto: non ci vedo niente di politico o partitico. Si tratta di due genitori che vogliono la verità. Io prima che un ciclista sono genitore, sono un marito. E non vorrei mai trovarmi in una situazione del genere. Non mi costa niente mettere questo braccialetto».
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