Tutta Italia manda la sua carezza a De Marchi, io gliene mando due. Non è un outing di particolari inclinazioni sessuali, è un gesto di vera ammirazione e di sincera stima personale. Adesso stiamo qui a contare quanti anni, quante tappe, quanti chilometri il Rosso Barricato abbia trascorso in fuga. Io, dal mio punto di vista, sono convinto che invece non siano mai state fughe, perchè in qualche modo la fuga significa scappare: in corsa si scappa dagli avversari, nella vita si scappa dai problemi e dagli ostacoli.
La vedo da un'altra prospettiva: De Marchi non è mai stato in fuga da niente e da nessuno, De Marchi ha sempre inseguito. Troppo facile comprendere che cosa rincorresse, dall'età degli inconsapevoli 7 anni: il suo sogno, la sua meta, il suo posto nel mondo.
Eccolo là, sul palco, il suo punto d'arrivo. Una maglia rosa, la maglia del migliore, vestita dopo un'altra giornata di tormentosi dubbi e di indicibili fatiche. Per quanto mi riguarda, è una maglia rosa fantastica, la migliore delle maglie rose possibili. Alessandro è il corridore che è come persona, mai identificazione è apparsa così evidente. De Marchi è una persona che non si monta la testa, che conosce i suoi pregi e i suoi limiti, che si alza la mattina dicendo proviamoci, che nei momenti rosa come nei momenti neri si ripete lo stesso mantra, non mollare mai Alessandro, non mollare mai.
Il corridore e la persona De Marchi hanno attraversato momenti pesanti, con infortuni da stordire i tori, con riprese da fiaccare i bufali, ma ogni volta il corridore e la persona si sono ripetuti sempre quella stessa cosa, sempre e comunque, non mollare mai Alessandro, non mollare.
Forse, raccontandolo così, gli faccio anche un grosso torto. Perchè chi non lo conosce potrebbe farsi l'idea di un italiano un po' testone e trinariciuto, dedito alla fatica fino al masochismo, uno di quelli a schiena bassa che tutti i giorni si fanno infinocchiare in giro per città e contrade dai furbetti dell'esistenza facile. Ma questa è un'idea cretina di De Marchi, del corridore e della persona De Marchi. Come in nazionale sanno, come tutte le squadre sanno, come ha capito anche il singolare progetto di quest'ultimo suo team israeliano, il corridore e la persona De Marchi sono ugualmente degni, fieri, dignitosi. Soprattutto, romantici e idealisti. Come non si usa più, come è sempre più difficile trovarne.
In corsa e nella vita, De Marchi è tutto fuorchè uno stupido mulo capace solo di sofferenze e martirio: il De Marchi corridore pedala sempre là davanti non tanto per fuggire dal gruppo, ma per tampinare il suo sogno, e il De Marchi persona non si fa mettere i tacchi sui calli da nessuno, ha le sue idee e i suoi ideali ben fermi in testa, pochi e precisi, senza paura di esporli, senza calcoli di opportunismo e di convenienza, come dimostrano le sue battaglie per un ciclismo migliore e più sicuro, ma anche per tenere alta la sensibilità sul tremendo destino della famiglia Regeni. No, chiedo scusa ma non mi allineo al coro retorico che racconta De Marchi come figura vagamente seppiata e patetica, l'umile poveraccio che per una volta fiuta qualcosa di buono, fuori dalla sua portata, come un Cipputi in gita premio a Portofino. Per me De Marchi fa parte dei migliori, stabilmente, con o senza maglia rosa: perchè è corridore e persona ricchi allo stesso modo, perchè ha un'anima viva, perchè usa la propria testa, perchè non ha bisogno di mendicare i pietismi di nessuno, anche se adesso con un candore commovente si spinge a dire “mi sento quasi fuori posto”.
No Alessandro, non sei fuori posto. In tutti questi anni non lo sei stato mai. Sei sempre nel posto che hai comunque scelto tu, cosa che riesce a pochi uomini veri. Goditi questo regalo che cade dal cielo, assegnato dal cielo come premio alla carriera.
Io, qua sotto al palco, ho il dovere e il piacere di sottoscriverlo: sì, De Marchi è la migliore delle maglie rose possibili. Per il Giro d'Italia, ma lasciami dire per l'Italia e basta.