Svegliami a cinque chilometri dal traguardo. Nessuno lo confesserà mai, perchè si sfila sempre tutti con la maschera dell'appassionato duro e puro, ma molti italiani hanno cominciato il Giro (in linea) a questo modo.
E' il destino di tutte le tappe piatte ed elementari, non lo scopriamo oggi e non è neppure uno scandalo. Caso mai, quest'anno c'è la simpatica novità di trasmetterle tutte intere, dall'inizio alla fine, così da ridurre i telecronisti nel poco invidiabile ruolo dei veri fachiri di giornata, molto più dei corridori, molto di più. Ci raccontano di risaie e riti antichi, di feste della mamma e ricordi della zia, presto qualcuno comincerà a proporre corsi di uncinetto e ricette locali per riempire i tempi morti, praticamente quasi tutti, fino ai cinque dall'arrivo.
Altre volte mi sono azzardato a dire che troppe ore di diretta non fanno bene al ciclismo, perchè trasmettono fuori dall'ambiente l'idea di uno sport noioso e soporifero. Ma tutte le volte che l'ho detto mi hanno mangiato la faccia, con ragionamenti molto articolati del tipo nessuno ti obbliga a guardare, esiste il telecomando vedi di usarlo, a te del ciclismo non importa un emerito. Dunque ciascuno resti della sua idea e andiamo avanti così, con la diretta dall'alba al tramonto, mobilitando eventualmente mogli e suocere perchè diano la sveglia ai meno cinque, quando non è tappone memorabile.
Non credo che nessuno possa considerare tale il confortevole viaggio a medie turistiche fino a Novara (inevitabile carognata: ricorderei che al Tour anche nella tappa più insignificante si va a cento all'ora, dall'inizio alla fine, come degli invasati inseguiti dalla Celere). Qui, quanto meno per generosità e dispendio di energie, migliori in campo i martiri della telecronaca, costretti a vuotare subito la valigia delle amenità (mi chiedo nella terza settimana su cosa divagheranno, mi gioco la sessualità degli angeli). Subito a ruota, doverosamente, i kamikaze degli sprint, prontissimi a esercitare valorosamente la loro professione sul vialone d'arrivo: ancora una volta male Viviani (Elia, quando bene? Il direttore Stagi ci soffre come un cane), poco meglio Nizzolo (data la situazione, doveva vincere), malissimo il sottoscritto, che si aspettava Ewan.
Poco altro da segnalare. Poco o niente. Per quanto mi riguarda, chiudo la giornata appuntandomi e tenendomi stretta una notizia passata un po' sottotraccia, di certo non sparata, ma per me pesantissima: ho visto Nibali pedalare su un tratto di asfalto poco regolare (com'è l'asfalto di tutta Italia, peraltro: useremo cataste di euro europei per le transizioni di tutti i gusti, vigliacca la eva se qualcuno pensa semplicemente a rifare queste maledette strade da scenari post-bellici), ho visto Nibali pedalare su una di queste nostre strade sinistrate e non ho notato il minimo segno di disagio, men che meno di dolore, sul suo bel volto disteso. Mi sembra il segnale giusto, il segnale atteso. Ce la fa. Serviranno altri stress-test, ma ogni giorno che passa gioca a suo favore.
Fossi nei suoi nemici, non me lo porterei sul canotto fino alla terza settimana. Questo ometto ha più classe e più coraggio di chiunque altro. Certo, non può lasciarsi indietro i suoi anni, ma se il braccio tiene ha quanto basta per dare comunque un gran fastidio a tutti. E' chiaro che i nemici lo sanno bene e faranno di tutto per metterlo in croce molto prima. Io che sto tra gli amici spero invece che lo sottovalutino e lo lascino guarire in santa pace. Così alla terza settimana si fanno i conti con Braccio di Ferro, anche senza spinaci.