Robert Louis Stevenson viaggiava non per andare da qualche parte, ma per andare: “Viaggio per viaggiare”. Chissà se, come scriveva, sentiva anche “il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo appuntito di selci taglienti”.
Enrico Caracciolo cita Stevenson nell’introduzione, ma credo che lui viaggi non per viaggiare, o viaggi anche per viaggiare, ma viaggi soprattutto per guardare e godere, per respirare e ispirarsi, per scrivere e fotografare. Viaggia perché la sua natura è quella del viandante, e da un bel po’ è anche il suo lavoro e la nostra guida.
“In sella all’Arno” (Ediciclo, 16 euro) è uno di quei libri che si acquista come guida e poi si divora come un romanzo, che si consulta come mappa e poi si studia come una storia, che ha il merito di allacciare ad altri libri e poi il potere di spingere a preparare la bici, riempire lo zaino, chiudere la porta di casa e cominciare un viaggio, un po’ per il gusto di viaggiare come Stevenson, un po’ per il puntiglio di rifare la strada che Caracciolo ha esplorato e descritto.
Dal verde del Casentino al blu del Tirreno in bicicletta: è il sottotitolo colorato e geografico di questa pedalata di 400 chilometri e 224 pagine dalla sorgente nelle Foreste Casentinesi fino alla foce a Marina di Pisa, cioè dal Falterona fino alla Bocca d’Arno, per una ciclovia (dell’Arno) e per un sentiero (della Bonifica) che ci sono e che ci saranno. I lavori sono in corso. Caracciolo pedala anche per osterie (a Poppi c’è “Il Porto”) e musei (in località La Rotta, alle porte di Pontedera, c’è quello dei Mattonai), si affida alla scrittrice Maria Pace Ottieri (a Chiusi: “I suoi tremila epitaffi ritrovati ne fanno la Spoon River dell’Etruria”) e al poeta Eugenio Montale (a Firenze: “I grandi fiumi sono l’immagine del tempo, crudele e impersonale”), rievoca Veloce Gagliardi, abile meccanico di San Giovanni Valdarno, e scopre la Statale 67, fresca e bionda del Birrificio Montelupo.
E poi, inevitabilmente, miracolosamente, magnificamente, recupera storie. Come quella della Pisorno, la Cinecittà degli anni Trenta, la Piccola Hollywood del Tirreno, che ospitò Amedeo Nazzari e Alida Valli, Sophia Loren e Gina Lollobrigida, Vittorio De Sica e Federico Fellini. Come quella dei canottieri di Limite, la prima società del remo nata - come l’Italia - nel 1861 e incoraggiata dagli auguri di Gabriele D’Annunzio. O come quella di Lorenzo Vasari, che costruisce bici a pedalata assistita, e la sua officina di Indipendent Ebike a Ortignano “è il mio paese dei balocchi”. Anche quello di Caracciolo. E anche il nostro.
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