E’ un piccolo mondo antico, quello del ciclismo. Centocinquant’anni di storia e di storie. Bici e gomme, corse e corridori, fughe e inseguimenti, vittorie e abbandoni, campioni e gregari, volate e scalate. Ma anche teorie e pratiche, regole e comandamenti, emozioni e sensazioni, pensieri rotondi e immagini leggere, espressioni gergali e parole definitive.
E’ un piccolo mondo antico, quello del ciclismo. In due ore di diretta tv e in altrettante di pedalate stradali si va da Ganna (Luigi, il primo vincitore del Giro d’Italia, anno 1909) a Ganna (Filippo, l’ultima maglia rosa italiana al Giro, anno 2020), dal Diavolo Rosso (il soprannome di Giovanni Gerbi) al dio di Roserio (il romanzo di Giovanni Testori), dalla borraccia di Bartali e Coppi a quella di Michael Schaer, dalle uova di Binda alle trasfusioni di Armstrong.
E’ un piccolo mondo antico, quello del ciclismo. Centrifugato e selezionato, studiato e osservato, ragionato e filosofeggiato, oserei dire biofilizzato, dà vita a una “Piccola fenomenologia del ciclismo su strada”, 228 pagine sentite e scritte da Paolo Pascucci per Aras Edizioni (16 euro, da domani nelle librerie)). La prefazione di Stefano Pivato, l’introduzione dedicata a Gianni Mura, qualche spiegazione personale, familiare, operativa sul titolo, sulla copertina, sul genere. E poi, pronti-via, un’indagine, non tanto piccola (le note ai piedi delle pagine danno l’idea della profondità della ricerca, ma anche della ricchezza della materia), sull’analisi dei fenomeni così come appaiono alla coscienza e all’esperienza.
Pascucci – del 1954, marchigiano di Pesaro, abitualmente si occupa di diritto del lavoro, con cattedra all’Università di Urbino – divide la materia in tre grandi capitoli: il primo (individuale o di squadra?) scompone e ricompone il mondo delle corse, il secondo (spigolature sul ciclismo su strada) radiografa gli elementi che insieme formano, caratterizzano e distinguono uno sport “diverso”, il terzo (il mito della completezza e il dilemma del più grande) riassume e sublima quello che da sempre rimane la più allegra e irrisolvibile discussione da bar e da salotto, da aula e da studio, da gruppo e da scrivania.
Il bello è che Pascucci anatomizza e sviscera, ma poi si schiera. Sul doping: “Se c’è uno sport che ha pagato prezzi altissimi sull’altare della lealtà sportiva, a costo quasi di sparire, e che nel contempo ha tuttavia messo in campo ingenti risorse per contrastare e debellare i fenomeni di dooing, quello è stato ed è proprio il ciclismo su strada”. Sul futuro: “Nessuno si stupirebbe se un fenomeno come Wout Van Aert, dopo aver vinto consecutivamente tre campionati del mondo di ciclocross, oltre a numerose corse in linea”, “riuscisse prima o poi a imporsi anche nelle grandi corse a tappe”. Sulla sicurezza: “Come purtroppo insegna la tragica fine di Michele Scarponi, il pericolo non finisce certo quando termina la corsa perché anche l’allenamento necessariamente si effettua sulle strade, le quali tuttavia in tal caso tornano a essere proprio di tutti”. Sulla sua essenza, che è anche il suo destino: “Coraggio, abnegazione, capacità di soffrire, solidarietà e spirito di gruppo, senso del dovere, ma anche voglia di primeggiare quando se ne ha il diritto e lo si merita: valori fondamentali in questo sport come nella vita d’ogni giorno alla quale esso tanto somiglia”.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.