Caro direttore Stagi, bravo. Proprio bravo. Magari non è la prassi che un sottoposto approvi così platealmente un articolo del direttore, se non per lecchinismo spudorato, scopo accreditamento personale. Nel mio caso, i complimenti sono sinceri e disinteressati, dato che non ho alcuna aspettativa di vantaggiose contropartite: malissimo mi hai sempre trattato, malissimo continuerai a trattarmi.
In ogni caso, bravo. Bravo per la breve, rapida, ma efficacissima intervista con Valentino Sciotti, l'ultimo povero signor sponsor buttato nel fango da un corridore qualunque per doping (ancora Epo, non ci posso credere). Spero che i tuoi giovani giornalisti leggano questa intervista e magari imparino qualcosa, cioè come porgere le domande davvero essenziali, senza giri di parole, senza riverenze, possibilmente a busto eretto, proprio le esatte domande che qualsiasi lettore avrebbe sulla punta della lingua trovandosi ipoteticamente a contatto con l'intervistato.
Entrando poi nel merito, devo dire che personalmente non faccio la minima fatica a comprendere lo stato d'animo di Sciotti. Io ci metto dei soldi per tenere in piedi quel poco che resta del ciclismo italiano e prima ancora di cominciare il gioco vengo subito abbinato a un volgare baro. Sì, giustissima la sua posizione: sono imbestialito, perchè mi ritengo il primo danneggiato da questa porcheria. Diciamolo: è comunque un passo avanti rispetto al passato. Quanto avrei voluto sentire gli sponsor parlare a questo modo vent'anni fa, in piena Epo-ca di doping spinto, quando invece i dirigenti si preoccupavano solo di arrampicarsi sugli specchi, aspettiamo le controanalisi, voglio vederci chiaro, io fino a prova contraria devo credere al ragazzo, eccetera eccetera, tutto fuorchè manifestare subito una rabbia furibonda per i danni subiti dalla propria azienda (e dalla propria reputazione). Bravo anche a Sciotti, dunque. Per quanto lo conosco, intuisco fino in fondo l'amarezza e la delusione. Li credo veramente sinceri.
Però come al solito ho un però. Proprio a Sciotti devo chiedere che mi faccia un piacere. La scongiuro, carissimo: mai più si lasci sfuggire quella frase, “ci servirà di lezione”. Questa proprio non ce la faccio a lasciargliela passare. Ma come: dopo 25 anni di melma generale, dopo una sequela agghiacciante di casi in quella stessa squadra, ancora lei mi dice che le servirà di lezione? Perdonerà il sarcasmo, ma mi viene da pensare che in quegli ambienti siate più zucconi di un ripetente professionale, se ancora oggi avete bisogno di un'altra lezione per capire dove e con chi siete finiti. Hai voglia qui di pagare ripetizioni. Via, comprendo che magari “servirà di lezione” sia un modo di dire, un luogo comune, una frase tanto per uscirne, ma le posso giurare che nel ciclismo, oggigiorno, suona davvero come umorismo involontario. O davvero devo credere che lei fino a quest'ultimo scandalo non sapeva dove fosse finito, in quale sport si muovesse, con quale storia avesse a che fare?
Per quanto mi riguarda, ma credo di non essere il solo, non sarà il nuovo crak a servirmi da lezione. Glielo posso giurare. Senza superbia, credo di saperla già abbastanza lunga, sul tema. Vengo da 25 anni di master, sento di non avere più niente da imparare. Caso mai, qualcosa da insegnare.
Dunque, se per caso ne ha bisogno, mi faccia una telefonata. A me o a tantissimi degli appassionati che seguono questo sport da decenni: sono tutti titolari della cattedra, hanno tutti le carte in regola per chiarirle le idee. Senza dover più imparare certe lezioni, sulla sua pelle.