Mi pare proprio che non ci si possa più confondere: in tema di corse in linea, l'Italia ha il ciclismo più fiacco del mondo, ma ha la corsa più bella del mondo. Questa sì “La corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo”, altro che Giro: le Strade Bianche, che per tracciato e visuale scavalcano di netto, per distacco, tutte le altre gare del pianeta. Tanto per non esagerare, una gara da patrimonio Unesco.
Personalmente ringrazio chi questa giornata l'ha pensata, ormai diversi anni fa. In questo modo. Su queste strade. Ogni anno mi ritrovo ad aspettare questa giornata come si aspetta la finale di Champions. E mai una volta che mi rialzi insoddisfatto, con la bocca amara. Ancora una volta, anche stavolta: protagonisti e ordine d'arrivo da alta accademia, anche questi da patrimonio Unesco. E non parliamo dell'andamento di gara, della battaglia polverosa, della sfida estrema che sa di antico e di moderno al tempo stesso.
Grazie a chi l'ha pensata, grazie a chi l'ha corsa, grazie a chi nel tempo ha imparato a considerarla un appuntamento imperdibile tra i propri impegni stagionali. Dico dei campioni veri, che selezionano gli obiettivi.
Tutto questo non è per dire che la Roubaix, o la Sanremo, o il Fiandre, o la Liegi, o il Lombardia valgano qualcosa meno di quello che valgono, ormai da un secolo. Tutto questo per dire piuttosto che ormai, a pieno titolo, anche senza sigillo Unesco, per me le corse monumento non sono più cinque. Ce n'è una sesta, forse la più romantica. Anche se non è antica, anche se ha l'età di un'adolescente. O forse anche per questo. Dedicata a chi racconta che il ciclismo non sa mai rinnovarsi. Abbiamo la sesta sorella: la più giovane e la più bella.