Ogni mese di maggio, con qualche eccezionale trasloco temporale, la vita degli appsssionati di ciclismo si sdoppia e raddoppia. C’è una vita, quella personale, quella tradizionale, quella ordinaria, che continua così com’è: la famiglia, la scuola o il lavoro, i baci e abbracci, il pane e salame, gli arrivederci e grazie. E c’è un’altra vita, una vita che è un viaggio ma anche un romanzo, che è una storia ma anche mille storie, che è una corsa ma anche uno spettacolo, che è un ordine di arrivo e una classifica generale ma anche una miniera di ricordi e un pianeta di pensieri, che è un concentrato di altre vite. Questa seconda vita è il Giro d’Italia.
A Federico Biffignandi è accaduto nel 2019. Forse è accaduto anche prima, probabilmente sarebbe accaduto anche dopo. Ma quello sdoppiato, o raddoppiato maggio che ha deciso di raccontare è stato proprio quello del 2019. Aveva quasi trent’anni, era un giornalista, non lavorava – come sognava - nella redazione sportiva di un quotidiano (cui comunque collaborava), ma – come ringraziava - in quella di una rivista di cucina (posto fisso, stipendio fisso, assunzione da praticante, comunque una posizione privilegiata). Però c’era il Giro d’Italia. E sabato 11 maggio, per la prima tappa, a Bologna, la cronoscalata da Piazza Maggiore al Santuario di San Luca, Federico era lì. A titolo personale, ad articolo personale, a didascalia personale. Infine a libro personale. Questo: “Tutti al Giro tranne me” (Bolis, 176 pagine, 14 euro).
Fu, inevitabilmente, un maggio sdoppiato e raddoppiato, fatto di andate e ritorni, di parentesi aperte e chiuse, di ricette corrette e volate scorrette, di formule vinicole e fughe impreviste, anche le sue fughe, in fantasie e in streaming, alla tv o sulla strada. “Oggi vorrei essere al Giro” (così cominciano tutti i capitoli, dalla seconda tappa in poi), e invece al Giro c’è, o più spesso purtroppo non c’è, però si consola con una bella pedalata, o navigando su Google Maps, o sgomitando per avere qualche giorno di ferie, o addirittura ammettendo che non vorrebbe esserci, o forse sì, per la pioggia e il vento capaci di trasformare tappe in calvari.
E’ così che, in “Tutti al Giro tranne me”, il più al Giro di tutti è proprio Biffignandi. Perché lo abita nei villaggi di partenza e sui viali d’arrivo, lo respira nelle attese (forse il segreto della bellezza sta proprio nell’attesa, come sempre, come dovunque), lo vede nell’elastico di Cesare Benedetti e nell’appallottamento di Caleb Ewan, nei problemi meccanici di Miguel Angel Lopez e nell’orgoglio agonistico di Vincenzo Nibali, nella frattura di Matteo Moschetti e nella felicità di Damiano Cima, fino allo sdoppiato, o raddoppiato, epilogo, la vittoria di Richard Carapaz e le sue dimissioni. Finché Federico si dichiara al direttore: “Io voglio stare per la strada, scrivere, proporre, non avere orari, inventare, immaginare, voglio scrivere di sport, di ciclismo, di fatica. Io vorrei andare al Giro”.
E’ un romanzo – autobiografico, ciclistico, giornalistico – a scrittura leggera, a pedalata profonda, e a lieto fine: Biffignandi, oggi, scrive di sport. Un gran bell’acquisto.
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