Ha fatto sognare l’Italia scrivendo una delle pagine più belle del ciclismo femminile. Era il 1997 in Spagna quando arrivò la storica vittoria ai Campionati del Mondo, con Alessandra Cappellotto prima azzurra a vestire la maglia arcobaleno.
Oggi Alessandra non corre più ma come direttrice del CPA donne si occupa della difesa dei diritti del ciclismo femminile. Quando serve l’ex iridata alza la voce e lo fa a ragion veduta, come sui regolamenti federali, quando le cose non vanno come dovrebbero. «Purtroppo ancora oggi esistono delle differenze tra uomini e donne nel ciclismo e ancora di più tra bambini e bambine».
La Cappellotto fa riferimento al post che ha scritto qualche giorno fa sui social riguardo ai regolamenti dei giovanissimi, dove in gara c’è un’assegnazione di punteggi diversa tra bambini e bambine. «Nelle categorie giovanili sono vietati i premi di un certo valore, non vengono premiati direttamente i bambini, ma la vittoria viene assegnata ai team attraverso un punteggio».
Riguardo all’assegnazione dei punteggi, Alessandra Cappellotto vorrebbe una variazione del regolamento, non trovando equo quello esistente. Per stabilire il team vincitore vengono assegnati dei punteggi, che però non hanno una pari distribuzione tra bambini e bambine. «Al maschietto sono dati 5 punti quando vince e la bambina ne prende 3. E’ vero che in queste gare bambini e bambine corrono insieme e spesso sono di più i maschi, in particolare in certe regioni. Ma penso che debba cambiare la regola dell’ordine d’arrivo come unico parametro. I giovanissimi, in ambito federale, non sono considerati categoria agonistica. Quindi perché assegnare punti ai primi 5 bambini e alle prime 3 bambine? Questo vuol dire fare delle differenze e non è giusto».
Analizzando quanto scritto nel regolamento, per decidere quale sarà il miglior team maschile ci sono 15 punti da assegnare ai primi 5 bambini così suddivisi: 5,4,3,2,1. Mentre per decidere quale team femminile sia stato più bravo in totale verranno assegnati 6 punti, suddivisi in: 3,2,1. Per tanto nella stessa gara i maschietti chiuderanno sempre, con un punteggio più alto.
«I giovanissimi dovrebbero solo giocare con le bici, perché parliamo di bimbi che iniziano a pedalare a 6 anni. Non si deve usare sempre questo sistema di punteggio diverso tra maschi e femmine che in queste gare corrono insieme. Iniziamo proprio dai più piccoli a far vedere che non esistono nello sport differenze tra i sessi. Anche se ci troviamo in gare con importanti differenze numeriche, non facciamole vedere con il punteggio e prendiamo esempio da regioni come il Trentino, dove le squadre vengono premiate con parametri diversi. Ad esempio considerando il numero di bambini iscritti alla società, il numero degli allenamenti che la società fa nei velodromi. Insomma premiamo tutti i bambini e se bisogna scegliere una società è bene che questo venga fatto senza far vedere che ci sono differenze tra i sessi».
Alessandra Cappellotto è certa che si possa fare di più su questo argomento, lei che si occupa di atlete professioniste scende spesso in campo in ambienti in cui il ciclismo femminile deve essere aiutato e le donne vengono ostacolate nel praticare lo sport. Da ex atleta, Alessandra ricorda i suoi inizi nel ciclismo, quando veniva presa in giro perché andava in bici e i suoi coetanei ripetutamente le dicevano che doveva restare a casa.
Ha tenuto duro ed è stata brava anche grazie al papà, che qualche volta ha dovuto asciugare le sue lacrime di bambina.
Ha alzato la testa, è andata all’estero a correre, fino ad arrivare a quella maglia iridata che con il suo arcobaleno l’ha portata sul tetto del mondo.
La campionessa di idee ne ha tante e i suoi progetti non riguardano solo le atlete professioniste e oggi: impegnata infatti ad aiutare quei Paesi in cui le donne hanno difficoltà a fare ciclismo.
Grazie a lei sono nate una squadra in Ruanda e una in Messico, ma il suo impegno vuole andare avanti e ha deciso di collaborare per aiutare la nazionale di ciclismo femminile dell’Afganistan che non ha potuto prendere parte alle selezioni per le Olimpiadi di Tokyo.
«Quando ho sentito la storia delle atlete afgane, sono rimasta subito colpita e ho chiamato la Federazione Ciclistica Italiana per rendermi utile. E’ pazzesco che queste ragazze non abbiano potuto partecipare alle gare, perché qualcuno aveva distrutto le loro bici. Mi auguro di poter contribuire affinchè possano realizzare il loro sogno Olimpico».
La Cappellotto ha imparato a guardare oltre ogni confine per aiutare le bambine che saranno donne domani. Questa settimana l’ex iridata sarà a Roma e andrà a far visita ad una scuola in cui nascerà un nuovo progetto, legato al ciclismo e alle pari opportunità. All’interno della scuola Di Donato ci sarà la possibilità di creare una ciclofficina e far partecipare anche le bambine, in particolare quelle nei cui Paesi di origine una donna in bici non è ben vista.
La Di Donato è una scuola veramente unica e speciale, che da tanti anni si occupa di un progetto legato all’integrazione dei bambini stranieri. In questa scuola i bambini stranieri e le loro famiglie vengono aiutati attraverso un sostegno attivo. Gli adulti possono imparare l’italiano e i bambini, che vengono da situazioni delicate perché figli di rifugiati, possono partecipare ad attività sportive e di studio in modo del tutto gratuito. Per questo motivo proprio in questa scuola c’è l’idea di creare una ciclofficina, con l’intento di far conoscere il ciclismo e insegnare a riparare una bici.
«Mi piacerebbe che le bambine imparassero a fare quelle attività che solitamente sono viste solo per i maschi. Vorrei poter contribuire affinchè ci siano sempre di più idee come questa e arrivare a creare, proprio nelle scuole, delle attività legate al ciclismo, capaci di abbattere ogni muro».
Nella scuola Di Donato, dove Alessandra si recherà tra qualche giorno per conoscere mamme e bambini, c’è una associazione creata dai genitori della scuola, che è il vero pilastro portante di tutte le attività. Sono tante le etnie che si incontrano e che collaborano insieme, ci sono quelle dei Paesi arabi e quelle dei Paesi sudamericani o mediorientali e insieme riescono a dar vita a idee importanti.
Tra queste adesso c’è quella del ciclismo come mezzo di solidarietà ed uguaglianza, attraverso un laboratorio formativo, un corso di educazione stradale e forse, anche un club di bambini che la città la vogliono scoprire attraverso le due ruote.