Uno contro uno. Uno contro uno fa due. Uno contro uno fa due anche se uno è davanti e uno dietro, uno è in piedi e uno a terra, uno è primo e uno secondo o giù di lì.
Uno contro uno fa due ma anche storia e geografia. Uno contro uno fa due tribù, due partiti, due popoli, due schiere e due schieramenti.
Uno contro uno fa due così diversi eppure così uguali, così opposti eppure così insieme, così lontani eppure così vicini, così distanti eppure così simili, così e così, così così.
Uno contro uno fa due, e duetti, e duelli, e dualismi. Uno contro uno fa due, e due di punta, e due con, e due senza. Mauro Parrini ha scritto “Pedali nella leggenda” (Mursia, 272 pagine, 17 euro), la storia dei dualismi nel ciclismo. Il sottotitolo propone “rivalità”, la premessa (pagina 7) lo ribadisce, ma nella stessa premessa si parte dal film “I duellanti”, la storia di una sfida ossessiva fra due ufficiali napoleonici. Dualismo è più di rivalità perché più ristretto, più specifico, più concentrato. E l’indice (pagina 265) lo conferma.
Diciannove capitoli per diciannove dualismi, o rivalità, con trentotto campioni, ma con due eccezioni: Eddy Merckx costretto, o privilegiato, a misurarsi prima con Felice Gimondi (pagina 162, da sfidante al titolo), poi con Luis Ocana (pagina 174, mettendo il titolo in palio), e Bernard Hinault, obbligato, o esaltato, ad affrontare contemporaneamente Laurent Fignon e Greg LeMond (pagina 214). Gli altri scontri-confronti: Gerbi e Cuniolo, Faber e Lapize, Girardengo e Belloni, Desgrange e Henri Pélissier, Binda e Guerra, Coppi e Bartali, Bobet e Robic, Kubler e Koblet, Van Steenbergen e Van Looy, Gaul e Bahamontes, Nencini e Rivière, Anquetil e Poulidor, De Vlaeminck e Maertens, Moser e Saronni, Bugno e Indurain, Pantani e Armstrong. Modestamente, vissuto da italiano, penso che il vero rivale – epidermico, caratteriale - di Bugno fosse Chiappucci. E sempre modestamente, vissuto da appassionato, avrei inserito aut-aut anche fra altri velocisti, Zandegù e Basso per dirne una variopinta. O forse, ancora modestamente, mi sarei imposto una maggiore selezione. Già che ci siamo, non avrei rinunciato alla bibliografia, almeno per conoscere le opere più apprezzate e consultate dall’autore (lo so, è vero, le più importanti sono citate nel testo).
Parrini ama il ciclismo e sa come farlo. Rivivendo, lui, e scrivendo, per noi. La biografia di “Pietro Chesi, il ciclista in camicia nera” (Mursia, 2014), oltre a quella di “Erminio Spalla, il pugile artista” (Mursia, 2018), e il “Dizionario (raccontato) della lingua del ciclismo” (Mursia, 2018) sono dichiarazioni di amore sotto forma di ricerche, ricostruzioni, osservazioni. Stavolta ricrea ambienti e atmosfere, profili e percorsi, sportivi ma anche psicologici. C’è ispirazione, c’è competenza, c’è passione. Non c’è capitolo che non meriterebbe un estratto. Mi limito a quello dedicato a due amici-nemici (una sottocategoria dello spirito e anche del dualismo, o rivalità), Costante Girardengo e Tano Belloni. Parrini riscopre l’incontro casuale di Mario Soldati, scrittore e regista, alla fine degli anni Sessanta in un grande albergo di Bologna (pagina 45). “Soldati vede da lontano una coppia di attempati signori, uno alto e l’altro piccolo, e nella voce di quello alto gli pare di riascoltare l’eco di una antica amicizia. Si avvicina e riconosce Gaetano Belloni, paletot con collo di pelliccia, in testa un cappellone color mattone impreziosito da un nastro di seta turchese. Sorpreso e avvinto dall’immagine radiosa del vecchio campione Soldati quasi non si avvede di quell’altro che è con lui, piccolo, in abito marrone, con in testa un cappelluccio floscio dello stesso colore dell’abito, finché non è lo stesso Belloni a farglielo notare”. Avete indovinato? “E questo – come disse Tano – questo è Girardengo”. Dopo tanti duelli rusticani, Tano non aveva dimenticato la tenerezza.
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