Nato sul lago di Garda, in questi luoghi della provincia di Brescia Sonny Colbrelli è rimasto a vivere. Il corridore della Bahrain Victorious abita vicino Salò, con la sua compagna Adelina e i loro due bambini Vittoria e Tomaso: un luogo ideale per lui, con montagne e pianure perfette per la vita di un ciclista. Colbrelli nella Bahrain Victorious si trova bene, è un gruppo unito che il prossimo anno punterà ai grandi giri con Mikel Landa e il nuovo arrivato Jack Haig senza tralasciare le vittorie di tappa e i successi nelle corse di un giorno.
Il 2020 anche per lei è stato un anno difficile da gestire. Com’è andata questa sua stagione?
«Dopo il lockdown siamo subito ripartiti a tutta, praticamente ogni giorno c’era una gara e abbiamo veramente dato tanto e si correva in modo folle. Se dovessi darmi un giudizio, direi che ho ottenuto la sufficienza piena, anche perché ho colto una vittoria, che non è da poco per un anno come questo e poi ho ricoperto nel ruolo di gregario al Tour de France, dove penso di aver lavorato bene».
Essere al servizio del suo capitano Landa è stato un ruolo nuovo. E’ stato difficile?
«Nei primi anni da professionista avevo tirato per i compagni, come ad esempio per Modolo nella Bardiani. Poi non ho più avuto questo ruolo fino a quest’anno e devo dire che è stato molto utile per me, perché mi ha fatto capire che posso fare questo tipo di lavoro dando tutto per la squadra, che a mio avviso è stata la seconda più forte del Tour de France».
Quest’anno il Tour è stato subito difficile: come lo avete affrontato?
«La corsa è stata sempre nervosa, la Jumbo Visma è stata secondo me la squadra più forte e noi siamo stati protagonisti di tanti momenti, prendendo in mano la situazione. Ad esempio nel giorno con i ventagli, Landa che aveva a ruota Pogacar, era rimasto indietro e si sono salvati perché la nostra squadra ha tirato per 35 chilometri. Non è stata una passeggiata per noi quella, davanti avevamo un gruppo di 45 corridori e alla fine abbiamo chiuso con 1 minuto e 20 di ritardo. Ogni giorno, abbiamo corso davanti, sempre insieme alla Jumbo Visma, poi loro ci staccavano perché in salita avevano tre marce in più di noi».
Anche nella tappa con arrivo a Meribel avete lavorato molto, ma qualcosa è andato storto. Cosa è successo quel giorno?
«Siamo stati noi a prendere l’iniziativa in quella tappa, forse la più difficile del Tour. Abbiamo fatto la selezione, scremato il gruppo, facendo staccare tantissimi corridori. Poi il risultato non è stato quello che volevamo, ma sicuramente non abbiamo rimpianti. Il Tour è stato veramente duro, tutta la squadra compreso Landa ha dato il 110 per cento. Se guardiamo i primi 10 posti della classifica finale, sono tutti grandi nomi».
Che tipo di corsa è il Tour de France?
«E’ una corsa sempre difficile, perché è una vetrina importante, per le squadre, corridori e gli sponsor, si va sempre a tutta e quest’anno fin da subito, tutti volevano stare davanti e ci sono state tante cadute fin dal primo giorno. Ci siamo anche confrontati con corridori che questa corsa l’hanno fatta tante volte e tutti hanno detto che questo è stato il Tour de France più duro degli ultimi anni».
Come è proseguita la sua stagione dopo Parigi?
«Sono andato in Belgio al Binck Bank Tour, dove sarebbe potuta andare meglio, ma ho chiuso al sesto posto. Al Brabante ho fatto una bella gara, finendo quarto, con Van der Poel e Alaphilippe che scattavano continuamente, poi sono andato alle Classiche ma non è andata bene. Ero stanco e poi cadendo alla Gent, ho compromesso il finale».
Pensando alla nuova stagione, come pensa che l’affronterete?
«Sicuramente ci saranno tante restrizioni, ma questo è il minimo secondo me. Non abbiamo ancora un calendario preciso, bisogna capire cosa succederà con le corse in Argentina e penso che la stagione verrà spostata più avanti, non a luglio, ma forse con partenza delle corse tra febbraio e marzo. La base del ciclismo è in Europa e anche io partirò da qui, riprendendo il calendario dello scorso anno, correndo all’Andalucia, ma prima vorrei fare un ritiro in Spagna con la squadra».
Lei è già stato in Spagna questo mese, eravate un gruppo ridottissimo. Come è nata l’idea di questo piccolo ritiro?
«Sono partito con Caruso, Frapporti e un meccanico e abbiamo raggiunto Landa, come avevamo fatto lo scorso anno. Abbiamo preso un appartamento alle Canarie vicino a quello di Mikel e ci siamo allenati insieme mantenendo la nostra bolla. Alle Canarie c’erano diversi corridori, abbiamo incontrato anche Mario Cipollini, ma siamo rimasti sempre da soli. Abbiamo incrociato anche Ganna con Moscon ed erano tutti piccoli gruppi come il nostro. Le Canarie sono ottime per allenarsi, ci sono pianura e salite e la temperatura è mite, ci alleniamo con le maniche corte».
Lei con Landa e Caruso avete un rapporto speciale. Cosa vi tiene così uniti?
«Siamo veramente molto uniti, perché ognuno di noi conosce il valore dell’altro e questo è un punto di forza. Landa sa che può contare su di me e Caruso, ma anche io so di poter contare nello stesso modo su di loro. Scherziamo e ridiamo molto insieme».
Lei ha un bel gruppo di colleghi anche nella zona in cui vive, vicino Salò. Domenica ha postato un video mentre porta sulla sua bici Jakub Mareczko, cosa era successo?
«Eravamo sul lago di Garda e a Jakub sono scoppiate entrambe le gomme. Si era fermato in un punto senza sole e faceva freddo. Per aiutarlo e portarlo in un posto al sole, io l’ho caricato sulla mia bici e un altro corridore ha portato la sua bici fino ad un punto soleggiato e al sicuro per sostituire le gomme».
Parlando di Covid-19 e vaccini, lei si è fatto qualche idea al riguardo?
«Penso che noi che giriamo il mondo dovremmo vaccinarci, per proteggere non solo noi stessi ma anche gli altri. Se mi verrà chiesto di fare il vaccino, io lo farò senza crearmi il problema. Ogni anno per mia scelta a novembre facevo il vaccino antinfluenzale e solo quest’anno non l’ho fatto perché era introvabile, quindi non avrò problemi a fare il vaccino contro il Coronavirus».
Quale corsa le piacerebbe vincere nella sua carriera?
«Al primo posto metterei sicuramente il Giro delle Fiandre, è una corsa unica, che puoi apprezzare veramente solo quando l’hai corsa, con il pavè che mi piace tantissimo. Con intere famiglie lungo il percorso a seguire la gara e sono bravi i belgi, perché non si avvicinano mai ai corridori in gara, sono molto rispettosi. Poi da italiano mi piacerebbe vincere la Milano-Sanremo».
Lei è un corridore abituato a stare davanti, andare veloce e vincere le volate. Parlando di sicurezza in corsa, a suo avviso a che punto siamo?
«Qualche volta ci sono delle pecche, altre volte le cose sono fatte bene. Mi viene subito in mente quello che è successo al Tour di Polonia, con l’incidente di Jakobsen, penso che in quel caso le transenne non erano ben assicurate tra loro. Se prendiamo l’episodio tra Sagan e Cavendish, alla fine non era tanto diverso, solo che Mark è rimasto sulle transenne ed è scivolato, le transenne non si sono aperte, erano ben fissate. Poi va detto che l’arrivo di quella tappa è pericolosissimo. Io ho fatto il Polonia quattro volte, sono abituato alla velocità, ma in quella tappa non ho mai voluto fare la volata perché è da paura. Come diciamo noi è una volata da pelo sullo stomaco, con una discesa dritta, dritta fino al traguardo. In quella discesa noi cambiamo anche i rapporti e mettiamo un 56 o un 55. Quello è considerato l’arrivo più veloce del mondo ed è pericolosissimo. Non si dovrebbero fare arrivi così rischiosi».
Come ha trascorso questo Natale?
«A casa tranquillo, mi sono sempre allenato e mi sono dedicato alla famiglia. Quando ero nelle Canarie ad allenarmi, mia figlia mi chiedeva sempre quando sarei tornato a casa e in questi giorni cerco di dedicarmi il più possibile a loro».
Lei è ha due figli, quanto è cambiata la sua vita di uomo e di atleta da quando è diventato padre?
«Come prima cosa devo ringraziare la mia compagna, che riesce a gestire benissimo i nostri figli. Quando arrivo a casa e sono stanco, lei comunque mi lascia riposare e riusciamo ad alternarci bene nell’occuparci di loro e devo dire che siamo anche fortunati, perché abbiamo dei bimbi bravi, che la notte ci fanno riposare. Posso dire che quando diventi genitore acquisisci una consapevolezza che prima non avevi, dettata dal senso di responsabilità. Nel modo di correre non è cambiato nulla, ma i miei figli li considero uno stimolo in corsa: quando cerchi la vittoria, lo fai anche per poterla dedicare a loro».
C’è un ricordo particolare legato ai suoi figli e alle corse?
«Al Gran Premio Beghelli dello scorso anno, mia figlia Vittoria era venuta per la prima volta ad una corsa e volevo vincere per lei. Io ho vinto e l’ho portata con me sul palco, ho un bellissimo ricordo di quel momento».
Sua figlia Vittoria porta un nome che in qualche modo riporta ad un suo successo, può raccontarci la storia di questo nome?
«Ero al Tour de Suisse e vinsi in volata davanti a Gaviria e Sagan e quel giorno io e la mia compagna abbiamo pensato che sarebbe stato bello chiamare nostra figlia Vittoria. Ma anche Tomaso in qualche modo è legato ad un momento particolare della nostra vita. E’ nato il 3 maggio di quest’anno, il giorno prima del termine del lockdown più rigido e il giorno dopo sono tornato ad allenarmi sulla strada con la bici».
Cosa vorrebbe augurare al ciclismo per il prossimo anno?
«Vorrei che il ciclismo italiano tornasse a vincere con una squadra italiana. Erano belli i tempi con le nostre squadre che salivano sul podio, era un motivo di orgoglio per tutti. Si parla tanto di crisi economica, ma spero che ci siano delle persone competenti, con la voglia di fare e non solo di parlare, perché di gente che parla solamente è pieno il mondo. Troppe persone vanno in televisione o parlano ai giornali, per apparire senza fare veramente qualcosa. Servono fatti non parole. Sarebbe bello trovare persone concrete che abbiano veramente la capacità di mettere in piedi una squadra con la capacità di trovare sponsor importanti e organizzare. Questo è quello che vorrei».