Giovanni Visconti guarda al futuro con la Bardiani CFS Faizanè, ma un occhio è rivolto al passato, precisamente a quando era bambino, con quella prima bici comprata in un negozio del centro di Palermo, vicino a via Roma dove il Giro d’Italia quest’anno, ha visto il trionfo di Filippo Ganna. Per il siciliano la corsa rosa è stata difficile e ci sono stati momenti in cui la voglia di arrendersi era tanta.
Il 2020 è stato un anno particolare per tutti. Per lei che anno è stato?
«Dal punto di vista sportivo non è stato un buon anno. Dal pubblico sono arrivati riscontri positivi. Io ho dimostrato di essere grintoso, sempre presente, ma le gambe non erano le solite».
Lei ne ha parlato poco, ma ci sono stati anche dei problemi fisici.
«Tanto per cominciare ho avuto una forma virale importante, quello che in molti chiamano il Fuoco di Sant’Antonio. I medici mi hanno detto che lascia diversi strascichi, anche quando le lesioni esterne non si vedono più. Poi ho avuto anche problemi con la tiroide, una forma virale che ho scoperto solo a stagione finita e anche questo ha sicuramente inciso sul mio rendimento. Sto facendo una terapia e dovrei aver risolto».
Al Giro d’Italia voleva fare bene, in particolare nelle tappe della sua Sicilia. Cosa non ha funzionato?
«Come ho detto anche prima, mi sono approcciato male al Giro, le gambe non rispondevano come volevo ed ho commesso degli errori, come nella tappa dell’Etna. Lì ho sbagliato tutto, mi ero fatto incantare da Caicedo, che ha fatto finta di essere morto, quando invece morto non lo era affatto».
Se dovesse darsi un voto quale sarebbe?
«Alla fine mi darei un 6, perché comunque mi sono impegnato, ho messo grinta e dato visibilità alla squadra».
Come è arrivato il contratto con la Bardiani CSF Faizanè?
«Ero rimasto senza contratto e volevo far bene, al Giro d’Italia ci sono stati momenti di buio, volevo gettare la spugna perché alla fine in mano non avevo nulla, non meritavo di arrivare a novembre senza sapere cosa sarebbe stato della mia vita. Il contratto con la Bardiani mi ha ridato nuovi stimoli e serenità».
Che futuro vede in questa squadra?
«Ho fatto un contratto di un anno, poi vedremo. Spero di andar forte, la squadra mi ha fatto capire che ci sarebbero buone possibilità di proseguire il percorso insieme».
Quali sono i suoi obiettivi per il 2021?
«Vorrei rilanciare questa squadra e penso che la mia esperienza possa essere utile al gruppo. Quindi oltre a cercare di vincere qualcosa io, vorrei poter fare qualcosa per loro, aiutando a crescere i loro giovani».
Lei ha detto che ci sono stati dei momenti in cui avrebbe voluto chiudere con le corse. Un corridore quando capisce che è arrivato il momento di fermarsi?
«Non siamo tutti uguali, ci sono anche corridori che non capiscono di essere arrivati a fine carriera. Nel mio caso smetterò di andare in bici quando non sentirò più la brillantezza che ti fa raggiungere i risultati, mantenere la mente vincente e la voglia di continuare a lottare sempre».
Lei nel gruppo è uno di quelli con maggior esperienza. Quanto è cambiato il modo di correre dei giovani?
«Non credo che sia solo una questione di modo di correre, ma un fattore generazionale. Se un Van der Poel o un Van Aert avessero corso trent’anni fa, penso che avrebbero vinto tanto come oggi. Sono dei campioni».
Nel ciclismo chi sono stati i corridori che hanno avuto un ruolo importante nella sua formazione?
«Pantani sicuramente, anche perché siamo nati nello stesso giorno e io mi vantavo di questa cosa. Nei primi anni da professionista avevo Bettini che è stato il mio idolo e quando mi ha voluto con lui per me è stata l’apoteosi».
Che Natale è stato per lei?
«Fortunatamente sereno, perché ero con la mia famiglia, ho risolto i problemi di contratto e anche qualche acciacco, quindi posso dire di essere soddisfatto anche se non abbiamo potuto fare grandi feste».
Lei ha lasciato la Sicilia da tanti anni, non ha mai avuto il desiderio di tornare a viverci?
«Ho praticamente lasciato la mia terra quando correvo da esordiente, non è stato facile. Per correre non ho potuto neanche vivere l’adolescenza come i miei coetanei, perché nei fine settimana ero sempre fuori. A 15 e16 anni trascorrevo tutto il periodo estivo in Toscana e poi dai 18 mi sono trasferito in modo stabile. A Lamporecchio poi ho conosciuto mia moglie, che è toscana e i miei figli sono nati qui, sarebbe impossibile portarli a vivere in Sicilia. Per me è un dispiacere, ma è in questa regione che ho costruito tutto».
La sua prima bici è stata comprata da suo padre. Ricorda quel giorno?
«Certamente e ricordo che venne pagata 500 mila lire. La mia prima bici mio padre la comprò in via Divisi, per me era come un parco giochi quella strada, piena di negozi con le bici attaccate fuori. Quelle erano botteghe vere e proprie, nulla a che vedere con i negozi infiocchettati di oggi, erano delle officine con pezzi di bici smontate ovunque e quelle belle erano fuori, in mostra sulla strada».
Cosa si augura per il 2021?
«Vorrei mantenere la serenità che ho in questo momento, perché la serenità mi aiuta in tutto, nel lavoro e nella vita familiare. Vorrei che la stagione si potesse correre in modo completo, anche se a porte chiuse come il calcio. Possiamo dare ancora tanto a questo sport e mi piacerebbe poterlo dimostrare».
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