L’attacco è coppiano: “Un uomo solo pedala verso Firenze. Il suo nome è Gino Bartali”. La prima scena è eroica: “Alt! Documenti! Dove sta andando a quest’ora? Non sa che tra poco c’è il coprifuoco”. La storia è ormai universalmente conosciuta: “Mi sto semplicemente allenando”, “Ma lei è Gino Bartali!”.
Ha il nasone allegro da italiano in gita, le orecchie a tornanti, lo sguardo stradale, i capelli ventosi, i muscoli guizzanti, la battuta asciutta. Paolo Reineri racconta e Valentino Villanova illustra “A colpi di pedale”, la storia cicloavventurosa di Ginettaccio, un po’ romanzo e un po’ fumetto, un po’ narrazione e un po’ graphic novel, un’opera non recentissima (la prima edizione nel 2017, la seconda ristampa nel 2019) ma sempre attualissima, a cura della Fondazione Apostolicam Actuositatem.
In un anno di celebrazioni per Coppi (nel settembre 2019 i cento anni dalla nascita, nel gennaio 2020 i sessanta dalla morte), Bartali reclama la sua parte (nel maggio 2020 i vent’anni dalla morte). E il dualismo continua, la sfida si rinnova, tra omaggi e studi, tra festival e libri. Però Bartali, come succedeva in corsa (se le corse fossero state dai trecento chilometri in su – ripetevano i suoi gregari – Gino le avrebbe vinte tutte), viene fuori alla distanza. Perché aveva talento, ma ancora di più tenacia. Perché aveva forza, ma ancora di più fede. Perché aveva rispetto, ma ancora di più lealtà. E certi primati – i dieci anni di distanza fra le due vittorie al Tour de France – sono imbattuti e, più si va avanti, imbattibili.
“A colpi di pedale” (128 pagine, 10 euro) ha un’andatura che coinvolge sia i principianti, più pronti ad appassionarsi all’azione dei disegni, sia i veterani, più capaci di cogliere le sottigliezze del testo. Il libro si conclude con tre date (5 maggio 2000, la morte; 31 maggio 2005, la medaglia d’oro al merito civile; 23 settembre 2013, il titolo di “Giusto tra le nazioni”), un breve saggio (i rapporti tra Bartali e l’Azione Cattolica) e un’intervista (a Vincenzo Nibali). E Nibali si scopre, senza volerlo, bartaliano, almeno nei modi: “La bici è stata anche il mezzo per esplorare; pedalare mi faceva stare bene e mi permetteva di conoscere posti nuovi. Era la libertà. Ho iniziato con le prime gare e il sogno era quello di diventare come quei corridori che vedevo in televisione. Non è stato facile, ma ce l’ho fatta”.
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