Abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua casa di Forlí Matteo Malucelli, velocista classe 1993 che dalla prossima stagione tornerà a difendere i colori della formazione numero uno in Italia, l’Androni Giocattoli Sidermec. Nella squadra di Gianni Savio e Marco Bellini il romagnolo si era già messo in luce nelle stagioni 2017/18 prima di passare alla spagnola Caja Rural Seguros RGA: «Le stagioni con la Caja Rural Seguros RGA sono state belle ed ho fatto molta esperienza, ma anche fatica: ero l’unico italiano del team, ho dovuto imparare lo spagnolo visto che con l’inglese non me la cavo così bene e, avendo preso parte ad un programma di corse di livello superiore rispetto alle passate stagioni, ho fatto più fatica a fare risultati. Così mi sono demoralizzato un po’, soprattutto durante la prima stagione. Il 2020 invece era iniziato con il giusto colpo di pedale ma poi, a causa della pandemia che ha rivoluzionato la stagione, non sono riuscito a fare grandi cose. Con l’Androni Giocattoli Sidermec ho firmato il contratto ad inizio ottobre e ammetto di essere molto felice di tornare a difendere i colori della squadra con cui mi sono messo in luce e sono riuscito ad ottenere buoni risultati. Obiettivi per il 2021? Tornare a vincere, che credo sia ciò che più conta».
Partiamo dagli inizi, come ti sei avvicinato al ciclismo?
«Quando avevo cinque anni ho iniziato a calcio, poi a circa undici mi sono avvicinato al ciclismo, scoprendolo grazie a mio papà che pedala tra gli amatori da una ventina d’anni. Per un po’ ho praticato entrambi gli sport, ma ad essere sincero i miei genitori, mamma Alessandra e papà Maurizio, non erano molto d’accordo sul fatto che io andassi in bici perché lo ritenevano uno sport pericoloso. Fortunatamente, con molta pazienza, sono riuscito a convincerli e a tredici anni ho scelt: tra calcio e ciclismo quest’ultimo ha prevalso».
Qual è il tuo primo ricordo legato alla bici?
«La vittoria di Alessandro Petacchi alla Milano-Sanremo nel 2005».
Ti sei ispirato a lui?
«Sì, quando ho iniziato a correre erano i suoi anni migliori e così mi sono ispirato a lui. Quando poi sono passato in Androni, al primo anno avevo lui come preparatore e quindi ho avuto il grande privilegio di lavorare con un campione come Alessandro».
Ti ha dato consigli importanti?
«Sì, sulle volate. Mi ha spiegato cosa faceva Eric Zabel quando provava a batterlo, soprattutto quando Petacchi si trovava senza treno a sua disposizione. Mi ha dato un consiglio che tengo molto a cuore perché io spesso in volata mi sono trovato da solo».
Ce lo puoi svelare?
«Stare sempre davanti al velocista più forte e quando ti passa devi metterti alla sua ruota, perché se gli stai sempre dietro prima o poi lo perdi».
A ventiquattro anni sei passato professionista: cos’è cambiato oggi rispetto al tuo debutto?
«Quando passi tra i professionisti pensi di sapere già tutto invece con il tempo capisci che non è così, anzi ti accordi che sai ben poco. In questi anni sento di essere cresciuto molto come corridore ma anche come uomo. So che c’è ancora molto da imparare, e che la strada è lunga».
Ad oggi qual è il tuo ricordo più bello?
«La prima vittoria al Giro di Portogallo nel 2015 con il Team Idea, nell’ultima tappa, quella con arrivo a Lisbona. È stata una vittoria che mi ha reso più consapevole dei miei mezzi e mi ha fatto capire che probabilmente potevo ambire a qualcosa in più».
E quello più brutto?
« Ho vissuto un periodo buio quando correvo tra i dilettanti perché non riuscivo mai a vincere, qualche piazzamento nei primi dieci ma niente di più. Avevo anche pensato di appendere la bici al chiodo».
E poi?
« Poi è arrivato Domenico Garbelli nell’ottobre del 2014: mi ha ricorrdato i risultati che avevo ottenuto e mi ha proposto di seguirlo al Team Idea per la stagione 2015 e capire se realmente potevo ambire a qualcosa oppure era meglio lasciare perdere per dedicarmi agli studi.Se non ci fosse stato Garbelli, avrei smesso quasi sicuramente: lo ringrazierò sempre per avermi dato la spinta necessaria a farmi continuare. Se sono arrivato fin qui è sicuramente anche grazie a lui».
Se non fossi stato un ciclista saresti stato...
«Un ingegnere».
Hai una laurea triennale in ingegneria meccanica e sei corridore professionista. Come si conciliano studio e sport?
«Sinceramente? Un bel casino. La maggior parte del mio percorso universitario l’ho fatto quando correvo ancora tra i dilettanti e quindi avevo più tempo libero da dedicare allo studio. Gli ultimi sei esami invece li ho fatti quando ero già professionista e ammetto che è stata un’agonia. Non mi sono messo troppa fretta addosso e un esame alla volta sono riuscito a laurearmi. Ci ho messo sei anni al posto che i classici tre ma sono contento di essere riuscito a portare a termine il mio percorso di studi, soprattutto per mia mamma che è venuta a mancare nell’ottobre 2016 e mi ha sempre chiesto di concludere i miei studi. Nell’ottobre 2018 mi sono laureato».
E invece nel tempo libero che cosa fai?
«Niente, non riesco a trovare un passatempo che mi coinvolga abbastanza. Quando torno dagli allenamenti in bici, guardo un po’ di tv sul divano ma mi annoio ed i pomeriggi per me sono infiniti. Mi rilassa andare nei centri benessere, ma vista la situazione momentaneamente sono chiusi».
Cosa ti ha lasciato questo 2020?
«Mi auguro che questa situazione possa passare in fretta, è stato un anno davvero strano e difficile. Sono risultato positivo, da asintomatico, al Coronavirus l’8 ottobre scorso, ma me la sono cavata solo con un po’ di stanchezza. Solo dopo dieci giorni il tampone è risultato negativo e così ho ricominciato ad allenarmi ma è stata dura, la fatica si faceva sentire. Adesso sto meglio e pian piano quella sensazione sta scomparendo».
Con l’Androni Giocattoli Sidermec andrete in ritiro?
«Probabilmente faremo un ritiro a gennaio a Donoratico e la mia stagione dovrebbe incominciare in Argentina alla Vuelta a San Juan, Covid-19 permettendo».
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
«Negli anni ho ridimensionato un po’ i miei sogni e quindi dico correre la Milano-Sanremo e arrivare a Parigi a conclusione del Tour de France».
Prima invece cosa avresti risposto?
«Da bambino avrei risposto vincere la Milano-Sanremo e l’ultima tappa del Tour de France sugli Champs Elysèes».
Dove ti vedi tra qualche anno?
«In ammiraglia come diesse, ma non ho fretta. Vorrei correre il più possibile, ma senza diventare matto. E poi ho sempre una laurea da poter sfruttare...».