Gli archivi dei giornali sono macchine del tempo. Ritagli, microfilm, schermate. Dal primo all’ultimo numero, dalla prima all’ultima pagina, dal titolo-vetrina alla notizia-pallino. La cronaca che diventa storia.
Gli archivi dei giornali regalano viaggi nel tempo. Lo svenimento di Dorando Pietri, sfinito dalla fatica, alla maratona olimpica di Londra 1908, il più celebre perdente dello sport. L’urlo di Marco Tardelli, rapito dalla sua stessa prodezza, il 2-0 del 3-1 finale ai Mondiali di calcio 1982.
Gli archivi dei giornali hanno la sacralità, il potere, la forza della memoria, e se non raggiungono la verità, e se non diventano letteratura, almeno le sfiorano. “La sua arroganza sul ring era splendida – Emanuela Audisio scriveva di Mike Tyson -. Una rabbia genuina, i sottotitoli non servivano. Un mostro attraente”.
La lunga premessa per arrivare, entrare e riemergere dagli archivi di “Tuttosport” e “Corriere dello Sport” (due macchine del tempo) con “Il nostro Bartali” (un viaggio nel tempo) e 226 pagine di libro (e il doppio di giornali) per recuperare, rileggere e riassaporare un fratello d’Italia, un padre della patria, un uomo di ferro.
Andrea Schiavon ha diviso la lunga esistenza di Bartali in 10 capitoli, fra Giri e Tour, fra Sanremo e Lombardia, fra classiche e tricolori, fra le pedalate per salvare gli ebrei perseguitati e i calvari per precedere Fausto Coppi. Ciascun capitolo ha un suo testo, gli altri sono la prefazione di Sergio Neri e la postfazione di Giancarlo Brocci. La ricchezza sta nelle paginate: che sono lezioni di storia del ciclismo, ma anche del giornalismo; che sono doveri di cronaca, ma anche diritti all’immaginazione. La carta canta, la carta conta.
Non è nostalgia, ma passione. Carlin su “Tuttosport” del 26 luglio 1948: “Se Girardengo è stato il più brillante e Binda il più classico, il più olimpico, Bartali è stato il più titanico dei nostri campioni”. Non è ironia, ma affetto. Didascalia sul “Littoriale” dell’8 maggio 1939: “L’incidente che ha privato Cinelli della maglia rosa. Il corridore della Frejus contempla malinconicamente la macchina tutta contorta e pensa che proprio questa non ci voleva”. Non è interpretazione, ma fedeltà. Intervista sul “Littoriale” del 20 aprile 1937: “Un conto è parlare e un conto fare fatti. Quando ti vedi davanti certe salite che par ti caschino addosso tanto son ripide, hai voglia a gridare: lì bisogna arrampicarsi, caro mio, e le parole non contano”. Non è scandalo per vendere, ma dettaglio per illuminare. Dietro le quinte su “Tuttosport” del 19 luglio 1948: al figlio – Andrea – che prima di partire gli disse “che idea hai avuto, papà, di andare a disputare il giro di Francia. Sei troppo vecchio e ti farai battere”, spedisce “un telegramma per il suo (come dice lui) monello: ‘Tuo papà è ancora in gamba’”.
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