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Sandro Callari compie oggi 67 anni e affida ad una letera aperta il bilancio di una vita, di una carriera e di un amore sconfinato per il ciclismo e per il proprio lavoro.
Buongiorno, oggi è un giorno particolare, rivolgo un saluto unicamente ai miei Amici, a dire il vero pochi, ma sono quelli buoni. Oggi compio 67 anni. La vita è scorsa veloce.
Sono stato un uomo fortunato. Ho fatto quello che mi piaceva fare: dal 1964 al 1980 ho cercato di fare il corridore, ho realizzato pochi risultati rispetto ai sogni. Cerco di fare il tecnico (allenatore/preparatore) dal 1981, ad oggi sono 39 anni che ci provo, diverse volte ci sono riuscito, a realizzare i sogni dei ragazzi che corrono in bici.
Mia moglie, le mie figlie: un privilegio incommensurabile averLe per me. E ora un nipote, la vita è bella per quanto è dura e difficile. Vale sempre la pena di viverla.
Non passa un solo giorno che non guardo dietro cercando quel ragazzo che girava sulla pista del velodromo olimpico di Roma negli anni ’60 che ora non c’è più. Non passa giorno che non penso ai giorni felici passati al velodromo Monti di Padova. Ho amato, amo profondamente lo sport che mi ha dato tutto.
Quello di oggi non è il mio ciclismo, io appartengo a un’altra generazione. Il mio ciclismo è passione, sudore, fatica, fantasia, paura di niente. Giro, Tour, le grandi corse monumento, se penso alla Roubaix: le 3 vittorie consecutive di Moser, le 4 vittorie di DeVlamink, le cadute di Tchmil e la vittoria, le 4 Liegi di Argentin; le vittorie monumento e il mondiale di Hinault; le magnifiche irripetibili imprese di Merckx, la determinazione di Gimondi, la fucilata di Saronni, e tanti altri episodi ancora.
Quello era il ciclismo, l’essenza della fatica della lotta dura dell’uomo contro i suoi simili e contro la natura! Oggi non c’è niente di tutto quello.
Sono sopravvissuto a 4 presidenti nazionali a 3 segretari generali; non sono sopravvissuto alle cattiverie di alcuni soggetti ai quali ho dato molto. Non importa, era importante fare bene il lavoro. E io ho fatto bene il mio lavoro.
Non è stato un percorso facile. Non mi sono mai fermato, non mi sono mai arreso; ho camminato e avuto al mio fianco tanti amici, molti li ho persi per strada: non erano amici, erano conoscenti; alcuni sono tornati dal Padre.
Quelli buoni sono pochi a dire il vero e alcuni venuti dall’Est si sono dimostrati migliori di altri conosciuti in gioventù. I pochi buoni me li tengo stretti. Non cancello nessun giorno della mia vita. I giorni belli mi hanno regalato la felicità, quelli brutti mi hanno dato l’esperienza e i peggiori mi hanno insegnato a vivere.
Non ho avuto una vita facile, ma sono riuscito a realizzare diverse cose, famiglia, lavoro, sport. Ho fatto qualcosa per la mia famiglia (loro hanno fatto molto ma molto per me, sono stati pazienti, mi hanno aspettato, rispettato, amato) ho fatto qualcosa per il mio Paese, ho fatto qualcosa per i ragazzi che hanno lavorato con me. È stato un privilegio lavorare con loro e raggiungere i risultati che tutti sanno, anche se qualcuno li ignora! Ma quella è invidia, è stupidità! I miei ragazzi sono stati i primi al mondo a fare 4 minuti netti nell’inseguimento a squadre, sono gli ultimi ad aver vinto i titoli mondiali (1996/97/98) i titoli e le medaglie olimpiche (1996/2000), le vittorie su strada, le vittorie nelle corse a tappe in Europa (dal 1995 al 2000) e tanto altro; questo era il gruppo di ragazzi che per un lustro hanno portato allori al Paese, al Coni e alla Federazione.
Ho l’orgoglio di poter dire che ho rappresentato nei velodromi e lungo le strade del mondo tutti gli ex ciclisti passati nel ruolo di tecnici che hanno messo la loro competenza, esperienza, passione a disposizione di ragazzi che si sono messi in gioco su una bici.
L’unico rimpianto è quello di non aver fatto il possibile per essere capito, per essere compreso. Non so se riuscirò a farlo nell’altra vita. Lo spero.
Ho cercato di dare il massimo, forse non sono stato un buon maestro, potevo agire in altri modi, provare strade migliori; ma non ho mai abbandonato nessuno, non ho mai tradito. Ho commesso tanti errori, certamente tutti in buona fede. Ho sempre avuto rispetto dell’uomo e dell’atleta.
Delusioni: sì, da un paio di soggetti che non meritavano la mia attenzione, la mia fiducia, il mio impegno e le mie preoccupazioni.
Gratificazioni: diverse, ma due sono particolarmente importanti, indelebili nel tempo. La prima: aver conosciuto nell’86 una famiglia che mi ha aiutato e mi è stata molto vicina in momenti importanti, grazie Vittorio e grazie Ale; la seconda: la fiducia che Max ha sempre avuto del mio lavoro. Queste sono persone uniche nel loro genere.
Oggi sono più vecchio di quanto mai sono stato, e più giovane di quanto sarò mai.
Auguro una buona giornata a tutti.
Sandro Callari