Giancarlo Brocci e il Covid-19, il futuro della bicicletta, i campioni di ieri, oggi e domani, i costruttori italiani, il mondo de L’Eroica, il Ciclismo Eroico, l’idea di campionato mondiale gravel ma soprattutto l’istanza di vedere riconosciuto il titolo di “Padri della Repubblica Italiana” a Fausto Coppi e Gino Bartali. Sono tanti i temi a pedali toccati dall’ideatore de L’Eroica in questa breve intervista, al termine di una stagione molto difficile
Il Covid-19 ha favorito un enorme successo della bicicletta, mezzo anti contagio per eccellenza. Centinaia di migliaia di persone hanno acquistato la bicicletta altre centinaia di migliaia si apprestano a farlo…
“Era naturale che si arrivasse a fare i conti con uno stile di vita ed un abuso del pianeta non sostenibili – dichiara Giancarlo Brocci -. Certo, le pandemie, più o meno virulente, si sono sempre susseguite ma ora vanno palesemente a mostrare i limiti di un concetto di sviluppo da ripensare. L'uso della bicicletta, come il riuso di territori marginali, delle campagne, di ritmi e filosofie più a nostra misura sono una nuova frontiera del benessere, prima di tutto interiore. La bicicletta è il futuro, era lo slogan, semplice, efficace e vero, di un grande come Alfredo Martini”.
Le città si stanno strutturando per aumentare la mobilità a pedali, piovono fondi per la realizzazione di importanti itinerari nazionali e si premiano start up nate per favorire il cicloturismo. L’Italia si è messa in scia dei Paesi europei?
“Il nostro Paese sconta nel settore molte delle sue carenze strutturali e le debolezze di una politica che non ha mai avuto respiro programmatico. Da noi la bici è sempre stata uno strumento per praticare quel fantastico sport che è il ciclismo, che qui e in Francia ha trovato natali, campioni e passione popolare; mezzo di trasporto lo è diventata solo in poche città di pianura, a grande base operaia. Non credo sarà veloce, se mai ci arriveremo, una via italiana a ciclabili razionali e ben gestite. Ad ora, troppo spesso, il settore è stato presidiato principalmente dagli addetti ai lavori, più attenti a percorsi e progetti finanziabili che al loro effettivo respiro strategico”.
Per il ciclismo che anno è stato quello che va a concludersi tra poco?
“Un calendario così compresso ha comunque costretto i migliori a cimentarsi quasi ovunque ed ora siamo tornati spesso a vedere ordini di arrivo rispettosi del pronostico, con i più bravi davanti. Potrebbe essere buon segno, come il fatto che molti giovani si sono affermati subito, un ricambio generazionale che promette di tornare a proporre bei racconti di strada per diverso tempo. E' chiaro, altresì, che si avverte sempre più il bisogno di un ciclismo capace di uscire dagli schemi, liberato dai dettami di regole asfittiche, a partire dalle iper tecnologie, dalle preparazioni esasperate, delle eccessive magrezze, dallo strapotere del duo preparatori-procuratori. Con maggiore fantasia al potere il ciclismo potrà tornare a mostrare presto la più bella gioventù possibile”.
Il ciclismo italiano ha visto sbocciare definitivamente il talento Filippo Ganna mentre hanno deluso campioni come Vincenzo Nibali e soprattutto Fabio Aru.
“Ganna sembra proprio un campione autentico, anche nel modo di porsi e di interpretare la professione. Magari potrà misurarsi tra qualche tempo anche con le salite e le classifiche, settore dove siamo tristemente in calo. Quest'anno, al di là dell'ottimo Filippo, abbiamo avuto al Giro le migliori cose da Nibali, Pozzovivo e Visconti, tutti over 35 e nessuno ormai competitivo ai massimi livelli. E' un problema di scuola, del fatto che non abbiamo più grosse squadre italiane nei Pro e le pochissime che stanno ai vertici dell'attività Under 23 ormai lo fanno su commissione, per aggiustare i loro bilanci e garantire un po’ di discreta manovalanza alle World Tour internazionali ed ai loro procuratori”.
Vince però l’industria italiana; i tre Grandi Giri sono stati vinti da biciclette di matrice italiana. Tadej Pogacar ha vinto il Tour in sella a bici Colnago, Tao Geoghegan Hart ha conquistato il Giro d'Italia pedalando su bici Pinarello e Primoz Roglic si è assicurato la Vuelta con la sua Bianchi……
“Che avessimo i migliori costruttori al mondo lo sapevamo da sempre, un primato che è stato certificato anche dal ritorno all'acciaio promosso da L'Eroica. Il fatto è che una volta questa supremazia riguardava la nostra scuola per il grande ciclismo, dove tutti i più grandi, francesi esclusi, finivano per venire da noi ad imparare ed a correre. Perché c'erano le strade, le salite, le corse, gli artigiani più bravi ed una passione competente. Ora serve soprattutto qualche grande progetto, che speriamo sia dietro l'angolo”.
Nessuna delle tre bici monta freni a disco. Dunque è sempre il fattore umano a fare la differenza?
“Io sono un eroico per testa ed anima. Credo che la bici sia un mezzo così straordinariamente ben concepito dalla sua nascita al punto di essere rimasto comunque, se non uguale, vicinissimo a sé stesso. E con un vantaggio: chi detta le regole delle gare potrebbe stabilirne limiti ancora più stringenti, come ben succedeva nei Tour de France degli Anni 30. Va da sé, però, che l'enorme diffusione della pratica della bici in ogni angolo di mondo moltiplica all'ennesima ogni tipo di proposta, spinge il mercato, unge tutta una macchina sempre più prospera. Ma la bici, come una bella donna, non è poi cambiata di molto; sono tra quelli convinti che Merckx ed Hinault, rimessi in gruppo con i loro mezzi, resterebbero difficili da staccare”.
Per Eroica che anno è stato?
“Verrebbe da dire di m.... come per tutto ciò che ci ha coinvolto in questi mesi. Poi ti dici che, nonostante condizioni così estreme, abbiamo potuto contare sull'affetto immutato, se possibile in crescita, del nostro popolo e dei media. Perché abbiamo anticipato certi tempi e regole, perché noi le strade più periferiche le avevamo già scelte e riproposte, perché nelle Terre Eroiche certo l'incidenza dei problemi respiratori è minore che altrove. La rinuncia obbligata a Gaiole in Chianti, all'evento-mamma, è stata sanguinosa ma abbiamo mostrato, in Sudafrica, Germania, a Montalcino ed a Buonconvento per Nova Eroica, che la nostra gente è speciale nel rispetto verso gli altri e l'ambiente.
Siamo in piena pandemia e non è possibile indicare fin d’ora le date degli eventi del prossimo anno. Ma Eroica sta studiando sviluppi alla propria offerta?
“Noi ci siamo, belli pronti e motivati. Sappiamo che la nostra idea di ciclismo è sempre più portatrice di passione, capace di coinvolgere sempre più persone ed Istituzioni. Eroica è stata formidabile nel proporre marketing territoriale vincente, capace di attrarre un flusso ciclistico, non solo turistico, nelle zone di elezione, divenute tutte mete di destinazione per la pratica della bici ad ogni livello. Per il 2021 alle porte, che ci auguriamo presto liberato dall'emergenza sanitaria, saremo in grado di proporre nuove destinazioni speciali, almeno altre due zone bellissime d'Italia, per estendere la formula Nova ed il suo mix di anima competitiva e di voglia di stare bene insieme pedalando in posti meravigliosi”.
La domanda di nuovo ciclismo ha bisogno di trovare un’offerta adeguata. Eroica sta lavorando per dare accoglienza a questa emergente domanda?
“Verrebbe di dire: se non lo facciamo noi, chi altro? Negli ultimi due decenni le novità che abbiamo portato dentro il cosmo ciclistico sono venute direttamente dall'idea di Eroica e dai suoi sviluppi, a partire da quella per i Pro, oggi Strade Bianche, unica che in 13 anni è arrivata al rango di sesta "Monumento" un po’ per tutti. E poi siamo quelli che ci abbiamo provato con i giovani, con formule varie e l'intento di restituire il ciclismo alla gente riesumando uno straordinario giacimento di passione inesaurito. Abbiamo parlato di Ciclismo Eroico, inteso proprio come ulteriore disciplina, una nuova lettura della bici in grado di renderne il pathos, il cuore e la trasparenza per troppi anni offuscata.
Il Covid-19 ha impedito lo sviluppo del suo progetto di campionato mondiale sperimentale gravel. Progetto cancellato?
“Proprio per niente. Tempi catartici come questi sono una spinta ulteriore per rimettere in strada idee che abbiamo ben maturato in questi anni e che la nostra gente ci conferma assolutamente vincenti. C'è un grande bisogno di rendere al ciclismo quell'aura che lo ha reso lo sport dei racconti epici. E c'è soprattutto un'enorme necessità di giovani, belli, sorridenti, mangianti, capaci di rischio e di sacrificio, che possano tornare ad essere riferimenti ideali della loro generazione. Abbiamo bisogno di eroi, qualcuno direbbe purtroppo; e gli eroi un certo ciclismo può tornare a crearli”.
Eroi come Fausto Coppi e Gino Bartali per i quali si fa insistente la proposta del titolo di “Padri della Repubblica Italiana”:
"Per quello che hanno fatto per il nostro Paese, per la passione che hanno generato e per la letteratura che è nata dalle loro gesta, non solo sportive, io credo che si tratti di un titolo più che meritato".
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