Si scrivono per amicizia, passione, affetto. Si scrivono per solidarietà, appartenenza, comunanza. Si scrivono per gratitudine, gratificazione, rispetto. Si scrivono, a volte, perché non si è saputo dire di no. Si scrivono, spesso, perché è bello scriverle. Si scrivono perché precedono, anticipano, rimangono. Si scrivono perché sono occasioni, introduzioni, anzi: prefazioni.
Le prefazioni sono presentazioni, spiegazioni, oserei dire precensioni. Aiutano, impreziosiscono, arricchiscono. Valorizzano. Gianni Mura era uno di quei valorosi che non sapeva dire di no: un giorno gliela buttai lì, perché non raccogli tutte le tue prefazioni in un libro?, lui si lisciò la barba e non rispose. Si potrebbe ancora fare, e non è detto che non si faccia. Si potrebbe intitolare “Premura”. “Premura”? Mura si sarebbe lisciato la barba, incuriosito, pronto a rilanciare, cetamente con qualcosa di meglio.
Anche Claudio Gregori è uno di quei valorosi che non sa dire di no. Nella sua onestà, non si limita a dare una sfogliata alle pagine del libro in questione, ma lo legge, prendendo appunti, lo studia dalla prima all’ultima parola, prendendosi tutto il tempo che richiede. E nella sua generosità, non si limita alle frasi di circostanza, né ai sostegni del mestiere, ma si impegna, si dona, si prodiga. Così che le sue prefazioni valgono, da sole, il prezzo della copertina.
“Io e lei” di Nico Franchi (Edizioni Efesto, 128 pagine, 13,50 euro) gode della prefazione di Claudio Gregori. Che la prende alla larga, da lontano, dalla culla dell’autore. Così, da Pescia in Valdinievole, “Greg” risale all’infanzia di Carlo Lorenzini e alla sua creatura Pinocchio, che come un ciclista “è sospinto dalla curiosità”. E “come Pinocchio anche il ciclista, attraverso le avventure – e soprattutto le disavventure -da burattino diventa un uomo”. La toscanità dell’autore è già una garanzia: “Qui è nata la prima società ciclistica. Qui si è svolta la prima corsa su strada. Qui, sulla salita del Moccoli e sull’Erta Canina, si è formato Bartali. E qui, sull’Abetone, è decollato Coppi”. Ed è una garanzia anche la toscanità degli scrittori della bicicletta: “Primo fu Neri Tanfucio, anagramma di Renato Fucini, che, nel 1871, nei ‘Cento sonetti in vernacolo pisano’, ci regalò ‘La lezione di velocipite’. Scrisse proprio così: velocipite. E raccontò in versi i vani tentativi di Artemisio di mettere in sella Achille”.
Gregori vola, un po’ come Pindaro e un po’ come una farfalla si posa su ciascuno degli otto racconti di “Io e lei”, sugge nettare e lo trasforma in miele. Fra gli estratti: “La salita è un ossimoro. E’ la fatica che sposa il piacere”.
La pennellata finale è un canto gregoriano doc: “La bicicletta ha due vite. La prima è l’avventura, concreta, dura, appassionante. La seconda è il racconto. Quando scendi di bicicletta, l’avventura finisce. Il racconto, invece, incomincia ed è immortale”.
(PS La prossima “Ora del Pasto” sarà dedicata a “Io e lei”, il libro)
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