Il ciclismo ha vinto la scommessa sanitaria del Tour svoltosi proprio mentre la Francia, accecata dalla grandeur, prendeva faticosamente atto dall’aumento folle dei contagi. Il ciclismo ha poi vinto in Italia la scommessa organizzativa, riuscendo ad allestire in poche settimane a Imola, Emilia-Romagna, le gare di un campionato del mondo rifiutato dalla Svizzera francese che ci lavorava da anni e “raccolto” al volo dall’Italia (e dire che sino a ieri chi si aggiudicava - per tempo: parliamo di un paio di anni dal voto al via della prima gara - l’organizzazione della manifestazione iridata subito annunciava di doverci lavorare senza perdere manco un minuto, con le tante gare in programma...). Il ciclismo ha salvato, con il Tour de France e i Mondiali, almeno la metà delle sponsorizzazioni e dei contratti.
Il ciclismo potrebbe dunque anche pensare di rilassarsi un pochino, alla luce delle tante fatiche sostenute, alla ripresa, in pochissimo tempo (una volta erano spalmate su una decina di mesi) da tutta la sua gente, compresi i tifosi che, spesso pedalando o scarpinando, vanno ad aspettare i corridori sulle salite ed ora si preparano al difficile e però attraente Giro d’Italia al via in questo mese di ottobre. Ma questo stesso ciclismo rilassandosi anche poco rischierebbe troppo di fronte a due nuovi mali che lo stanno aggredendo e che forse volutamente non sono stati affrontati a fondo e classificati bene, per la magari legittima paura di dare i numeri, di sbiellare tutti del tutto, con i gravissimi fastidi che ci sono già.
Fuori i nomi: doping e pedalata assistita.
Il doping c’è sempre stato e sempre ci sarà, perché l’antidoping patirà sempre un passo di ritardo, quando non di più (le armi di difesa nascono per contrastare le armi d’attacco che esistono già). Il doping è perseguito (attenzione: perseguito, non perseguitato…) anche dai governi: si pensi agli ancora misteriosetti chetoni usati con quasi ufficialità dallo sport britannico in tante discipline, quando era impellente fare bella figura ai Giochi Olimpici di Londra 2012. Il ciclismo per anni ha fatto da parafulmine e da sfogatoio, nel senso che ha ospitato più di ogni altro sport storie balorde, dicerie anche esagerate, misteri ancora scuri o (il caso Armstrong) acclarati dopo sette Tour de France senza che la scienza dei controlli ci avesse capito niente. Si è offerto come facile palestra di perbenismo ai moralisti. Ha pagato tutto sulla sua pelle. Al Tour è esploso (con un botto a corsa finita e tutto sommato piccolo) il caso di Quintana, e subito c’è stato chi ha detto che si tratta della solita punta del vecchio iceberg. E sono stati avanzati, senza peraltro fare seri danni al corridore-rivelazione, dubbi sulle qualità morali di tipastri del clan di Pogacar, compromessi nel passato.
Tanto sport sogna che il ciclismo torni a subire le accuse più forti e i sospetti più malvagi, a subire attenzioni speciali così da esse “liberando” altri. Tanto sport sogna anche che salti fuori lo scandalo della pedalata assistita, specie adesso che minipile per pervadere la bicicletta di energie speciali possono essere nascoste comodamente nei telai o in altri antri della bicicletta. Il sospetto c’è, i controlli ci sono e sono pure attenti e lunghi, ma anche qui il timore (lecito?) è di sofisticazioni per ora non rilevabili e dunque non punibili. C’è il sospetto su Roglic (oh il suo crollo) come un tempo ci fu quello su Cancellara (oh quella sua Parigi-Roubaix)
Il mondo della Formula 1 in un anno o poco più ha frequentato anche diavolerie al limite di regolamenti magari poco chiari, con controlli insufficienti quando non anche compiacenti e timorati. Ha visto strane controperformances di auto dal gran nome, ha registrato accuse, indagini, proclami, silenzi, accordi sotterranei e no all’insegna magari del do ut des. Ha dato, alla fine, una prova di forza contro i propri stessi sospetti. Ma se uscisse fuori lo scandalo della pedalata assistita praticata da molti, il ciclismo patirebbe uno sconquasso ben superiore a quello che la Formula 1 ha avvertito sotto sotto ma ha anche frettolosamente metabolizzato, digerito, diluito, evacuato, e pazienza se lasciando un boschetto di punti interrogativi.
Tutto qui, per ora. Ma non è poco. Tanto sport aspetta che il ciclismo, concorrente ormai lanciato in tutto il mondo col conforto dell’ecologia che gli assegna spazi, compiti, orizzonti, patisca il suo nuovo scandalo, meglio se doppio. E il ciclismo dovrebbe buttar via la sua finalmente trovata universalità, come ai tempi più neri del doping ha buttato via la sua umanità paesana.
da tuttoBICI di ottobre