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Complimenti all'intera comitiva. Proprio bravi. Se ne sentiva la mancanza. Già è un Giro sontuoso, fantastico, anzi perfetto, ficchiamoci dentro pure la protesta per un po' di pioggia a 15 gradi (non me la raccontate, vivo dalla nascita in questi luoghi), ficchiamoci dentro il direttore Vegni che abbassa subito i pantaloni per evitare ulteriori grane, ficchiamoci il giretto di 11 chilometri intorno a Morbegno per salvare le apparenze (anche se io non sono sicuro che siano salve neppure quelle), ficchiamoci dentro il colpo di genio dell'evitarsi due ore di tranquilla pianura, tendente alla discesa, ficchiamoci dentro tutto questo assurdo e tiriamo tranquilli la somma finale: stiamo buttandola definitivamente in vacca.
Complimenti per il tempismo, soprattutto: amici corridori, siamo sempre dalla vostra parte, ma stavolta avete proprio scelto il Giro giusto e la tappa giusta per scatenare la vostra ribellione, la giornata giusta come potrebbe essere quella di scendere in piazza contro il caro-caviale in Bangladesh. Complimenti ancora, avete scelto il tempo e il modo giusti per giocarvi la credibilità e il diritto sacrosanto di protestare quando gli scandali sono veri e seri, tipo certe transenne, certi muretti, certe discese, certe macchine e certe moto sul percorso.
Lo so già, la vera inondazione toccherà a me, perchè gli avvocati d'ufficio salteranno subito su nel pieno esercizio delle loro funzioni, spiegandomi quanto sia duro il mestiere del ciclista e quanto sia pesante questa terza settimana, accusandomi di non conoscere minimamente la bicicletta.
E comunque: parlo da innamorato di questo sport, non accetto che questo sport, in quest'annata già così complicata, in un Giro già così disastrato, venga buttato in farsetta per ragioni così ridicole. Punto. E anche sulle fatiche di questa settimana, già che ci siamo: lunedì riposo, martedì in gita verso San Daniele, mercoledì a spasso verso Madonna di Campiglio. Così, giusto per precisare, escludendo ovviamente la minoranza etnica dei fuggitivi di giornata.
Ero rimasto alla preghiera accorata dei corridori chiusi nel lockdown, fateci correre, fateci correre, adesso li ritroviamo che vorrebbero richiudersi nel tepore del lockdown, magari per una Morbegno-Asti virtuale, sulle loro avveniristiche cyclette.
Non ci sto, non voglio avere niente a che fare con questa cosa. Da osservatore, resto fermo allo spettacolo dello Stelvio, a quel genere di ciclismo, a quel genere di corridori, a quel genere di sport. Questo dei 100 chilometri di pianura tagliati “per motivi di sicurezza” mi mettono solo grande insicurezza sul futuro, perchè se passa il concetto che solo al Tour si affronta qualunque sfida estrema, persino il Covid in un paese devastato dal covid, mentre nel resto del mondo si fa solo quello che pare e piace, se passa questa idea il futuro è morto, spacciato, sepolto. E se a qualcuno l'ammutinamento di Morbegno non sembra così grave, ma cosa avranno fatto mai, in fondo è una tappa del cavolo, a questo qualcuno ricordo che tante grandi corse si sono decise anche in stupide tappette per imprevedibili accidenti (Thomas addirittura nel trasferimento), ma a parte questo ricordo soprattutto che questo è il Giro d'Italia, non la sagra del fagiolo. O ce lo siamo scordato, oppure continuiamo a umiliarlo senza più cogliere la sua intangibile grandezza?
Se è questo il nuovo, se è questo il moderno, allora prendiamoci il coraggio di andare fino in fondo: domani al Sestriere non è previsto sole, niente margherite, caro Vegni prepara un treno e a Milano andiamoci tutti comodi in poltrona.