Il Giro d’Italia richiamava le grandi firme. Giornalisti come Orio Vergani e Raro (Ruggero Radice), scrittori come Vasco Pratolini e Anna Maria Ortese, giornalisti e scrittori come Dino Buzzati, poeti come Alfonso Gatto. Nel 1947 “il Corriere della Sera” inviò Indro Montanelli. Era l’occasione per scrivere non solo del Giro, ma anche dell’Italia, non solo dei girini, ma anche degli italiani, non solo della corsa, ma anche della vita. E poi c’erano “quei due”: Bartali e Coppi.
Il Giro scattava da Milano (e a Milano sarebbe anche arrivato). Montanelli esordì alla grande: “Carlo V usava lo spagnolo per parlare con Dio, il francese per parlare coi ministri, l’italiano per parlare con le donne, il tedesco per parlare coi soldati e il cecoslovacco per parlare col diavolo. Se fosse vissuto più a lungo, quel monarca poliglotta avrebbe dovuto imparare una sesta lingua per parlare coi corridori in bicicletta: il milanese”. Perché Milano era la capitale del grande ciclismo, a cominciare dalla sede del giornale che organizzava la Corsa Rosa, rosa come le sue pagine: “La Gazzetta dello Sport”.
Montanelli era andato alla partenza, in piazza Duomo, per vedere Luigi Ganna, vincitore del primo Giro d’Italia nel 1909. Sarebbe stato lui a dare il via alla corsa. Ma era “inidentificabile in mezzo al quadrato dei suoi aficionados”. E così Montanelli scrisse: “Qualcosa lega questo leggendario personaggio all’anno 1909, quello in cui io nacqui alla vita e lui alla gloria. Il Giro d’Italia ed io siamo coetanei di millesimo e di mese. E ciò per poco non provocò una catastrofe, poiché il medico che doveva facilitare il mio complicato ingresso nel mondo disertò all’ultimo momento il suo posto al capezzale di mia madre, per accorrere col suo velocipede ad un certo passaggio a livello, dove il vittorioso Ganna avrebbe dovuto in quel momento passare. Se non ho diritto io di vedere Luigi Ganna, chi mai lo avrà?”.
Claudio Gregori, nel suo recente “Coppi contro Bartali” (Diarkos, 560 pagine, 19 euro), smaschera la straordinaria coincidenza vantata da Montanelli: “Bello, ma inventato”. Come oggi si direbbe, “fake news”, notizia falsa, balla, bufala, bugia. E spiega: “Quando, il 25 maggio 1909, Ganna passò da Fucecchio con lo sciame del Giro, il piccolo Indro non faceva più evoluzioni nel ventre della mamma. Era nato il 22 aprile. E da trentatré giorni, chiassava già ‘en plein air’, bellicoso, pronto alla sfida col Novecento”.