Nemmeno il tempo di metterlo in pista ed è già sfasciato. Povero Giro d'Italia. Se correrlo a ottobre sembrava di per sé una vera maledizione, con la lunga sfilza di illustri assenti per inevitabile preferenza al Tour e alle classiche del Nord, dopo tre tappe, di quel poco che avevamo, resta già troppo poco. Ci resta Nibali – grazie al Cielo – e ci resta Fulgsang. Diventa obbligatorio aggrapparsi subito a questa nuova maglia rosa, il piccolo e giovanissimo Almeida, portoghese di nascita ma non portoghese imbucato, perchè si sa che è forte e che con i suoi 22 anni fa pienamente parte della generazione biberon capace di sconvolgere tutte le certezze del ciclismo, vedi Pogacar, vedi Bernal, vedi Evenepoel, vedi Hirschi.
Viva Almeida, benvenuto Almeida. Però diciamolo: quel che resta è davvero dietetico. Un menu extralight. Genere vegano spinto, senza concessioni alla gola e alle baldorie. Dopo tre soli giorni, sembra subito di dover dire Fuglsang contro Nibali, Nibali contro Fuglsang. Nothing else. Certo le sorprese, vedi Carapaz 2019, sono sempre possibili, ma proprio perchè sono sorprese adesso non vanno tenute in conto. Così, a naso, non sarà un Giro di battaglie e di imboscate, di lotta e di governo: sarà uno stranissimo Giro per l'ultimo che resta in piedi. Sperando sia Vincenzo.
Certo, per quanto mi riguarda lo voglio dire senza ipocrisie: non è una prospettiva esaltante. Persino il tifoso, il patriota, il partigiano che c'è in me non può esaltarsi all'idea che Nibali vinca solo perchè gli altri vanno a ramengo. Una grande corsa a tappe è sicuramente gara di resistenza, ma qui siamo ai confini estremi dell'assurdo. Pronti via e si sfascia Lopez. Il giorno dopo si ammala Vlasov. E il terzo giorno, nemmeno ci fosse in Giro qualcuno che confeziona macumbe personalizzate, la fine precoce di Thomas, il favorito più favorito, il favorito messo meglio dopo la prima crono.
Sul modo, un velo pietoso: cadere nel tratto di trasferimento prima del via è di per sé una bella impresa, anche se resta comunque tra gli incerti del mestiere. Ma rimetterci la salute e la corsa per l'idiota abitudine di buttare le borracce sotto le ruote, questo è davvero il colmo. Sia come sia, non si trova più un cane che se la senta di dire a Thomas ci facciamo un giro? Neanche sul marciapiede sottocasa. Quando gli propongono un Giro, ormai, scappa ululando. Si pensava che il motopoliziotto del 2017 fosse il massimo dell'inverosimile, ma evidentemente chi traffica in macumbe non si pone limiti: la caduta nel tratto di trasferimento, effettivamente, rappresenta un deciso salto di qualità.
E adesso? Adesso teniamoci quello che resta. Siamo al punto che ci torna buono l'immortale Pozzovivo, tenuto assieme con i chiodi e capace comunque si stare con i migliori. I telecronisti del parastato svuotano il bagagliaio dell'ottimismo per dire che “è un Giro incredibile, ogni giorno ci riserva una sorpresa, va seguito fino all'ultimo”. Teneri. Non possono fare altro, evidentemente. Cosa possono dire, signori, dopo tre giorni siamo già a pane e cipolle, ma che cavolo guardate questa miseria? Sono al Giro in duemila, bisognerà pur ammortizzare in qualche modo, a qualunque costo.
Io, ancora una volta, tiro realisticamente le somme e accendo un cero a san Vincenzo Nibali, patrono dei disperati. La sola idea di cosa sarebbe questo Giro se lui avesse scelto anche quest'anno il Tour, questa sola idea mi mette l'ansia compulsiva. Poi certo, lo sappiamo: il Giro è bello e va guardato comunque, sempre e comunque. Però dai, c'è un limite anche alla bocca buona.