Jakob FUGLSANG. 10 e lode. Sta vivendo una seconda giovinezza e a 35 anni, dopo la Liegi, si porta a casa un secondo Monumento. Stravince con la sicurezza dei grandi. Non si fa mai prendere la mano, perché ha gambe buone. Lascia fare, fa credere a Bennett di stare bene ma non benissimo, e dopo l’ennesima accelerazione, si scrolla di dosso il neozelandese come noi ci togliamo un paio di mocassini.
George BENNETT. 9. Il neozelandese sta bene, e fa pure lo spavaldo. Discute un po’ con tutti, a turno, forse è un vizio dei gialloneri della Jumbo. Ha tutto per portarsi a casa il Lombardia dopo il GranPiemonte, ma in mezzo ai pedali si trova un danese dal sangue freddo che con il caldo vola.
Alexander VLASOV. 8. Il giovane campione russo esalta la grande giornata degli Astana. Due punte avevano e in due vanno sul podio. Il ragazzo ha stoffa e lo sapevamo. Oggi, al termine di una corsa così, ne abbiamo la certezza.
Bauke MOLLEMA. 7. Manca il podio per poco, ma il 33enne corridore olandese anche quest’anno è lì, tra i migliori. Un anno fa sul gradino più alto del podio, quest’anno appena ai piedi.
Giulio CICCONE. 6,5. L’abruzzese resta nel vivo della corsa dopo il Muro di Sormano. Gli manca ancora qualcosa per scatenare l’inferno in una giornata infernale, ma Giulio c’è.
Vincenzo NIBALI. 6. Sufficienza piena per un corridore che c’è sempre. Peccato solo che, dopo una discesa pazzesca, paghi qualcosa nel finale a causa di crampi che lo inducono a mettersi a disposizione di Mollema. Ma la sua prova è più che positiva.
Maximilian SCHACHMANN. 10. Il campione di Germania, dopo una gara di livello, rischia di non finirla a causa di una ignara signora (e cara grazia che di spettatori sul percorso ce n'erano davvero pochi) che pensa alla grigliata di questa sera e non al passaggio della corsa: la sensazione è che ci sia poco personale a segnalare l’arrivo di una gara ciclistica. In ogni caso premio pazienza a Maximiliam, che finisce per sbattere contro la vettura, ma si rialza e dolorante pensa solo a finire la gara, settimo. Monumentale.
Diego ULISSI. 6. Alla fine porta a casa un 8° posto. Non è propriamente la sua corsa, ma da un senso alla sua giornata e a quella della UAE Emirates.
Mathieu VAN DER POEL. 5,5. Fatica, lotta e arriva a poco dai 7 battistrada, poi paga la fatica e la distanza. Chiaramente è un talento, ma forse la faceva – e la fanno – più facile del previsto.
Richard CARAPAZ. 5. Se ha in testa il Giro è presto per essere in condizione oggi (lo stesso discorso vale per Nibali e Ciccone), ma in una corsa che esalta i passisti scalatori lui non si vede mai.
Fabio ARU. 4. Si stacca troppo presto, quasi subito, prima che scoppi davvero la bagarre. Non era giornata.
Remco EVENEPOEL. 10. Grazie al cielo c’è un dio del ciclismo che guarda giù, che ci dà una mano. Non è facile organizzare gare di questo tipo, non è per niente facile mettere in sicurezza 250 km di strada, si possono fare processi e ognuno può dire la propria verità, ma forse qualcosa di più si poteva fare. È andata bene a questo piccolo grande fenomeno belga che nel momento clou della corsa era lì a giocarsela con i migliori. Poi, sotto la pressione di Vincenzo, ha perso lucidità e ha sbagliato una curva. Cose che possono succedere, ma chi è deputato a farlo, spero che qualche riflessione in merito la faccia. Già il ciclismo viene considerato uno sport “ingombrante”, se passa anche il concetto di sport che porta “rogne” siamo a posto.
IL LOMBARDIA. 32°. La corsa delle foglie morte quest’anno è stata quella delle salamelle alla brace e delle gite fuoriporta. Corsa di Ferragosto, per una volta, si spera per l’ultima, perché come la Sanremo apre la stagione e i cuori, il Lombardia deve tornare a chiudere con il chiavistello una stagione ricca e abbondante. Ma quest’anno va così, cioè male, con mille stravolgimenti e un sacco di incertezze. Tra un anno sarà tutto diverso? Mah, forse, si spera, ce lo auguriamo tutti. Ma temo che questo stato di cose sia un Muro di Sormano da scalare lentamente e con tenacia. È breve, ma maledettamente duro. E come fanno i ciclisti quando c’è da affrontare qualcosa di molto aspro, non ci si pensa. Si va su, una pedalata alla volta, senza pensare al traguardo, spostando i propri limiti sempre un po’ più in là. La discesa arriverà. Arriva sempre, e sarà dolce…
Il PUBBLICO. È un tema, lo trattano in tanti, ultimo anche uno dei nostri fedelissimi lettori che è ormai diventato scriba, Fiorenzo Alessi, o l’amico di una vita Elo Castellano, per anni patron del Giro d’Italia. Non è ciclismo senza il pubblico. Che ciclismo è questo? Si chiede Fiorenzo, ma anche Carmine. È ciclismo, ragazzi, non scherziamo. Basta vederli, osservarli, qui al Lombardia o al Delfinato (là qualche tifoso c’è, per la verità, come oggi al Lombardia), ma è ciclismo, fatto come sempre con scatti e accelerazioni, frenate e ripartenze. Cadute e groppi in gola. È ciclismo, diamine! Quante volte abbiamo assistito a corse di rango su strade vuote, senza l’ombra di un tifoso (Vuelta, Tirreno-Adriatico, lo stesso Delfinato o la Parigi-Nizza), ma abbiamo sempre assistito a grandi spettacoli. Non pretendo di avere ragione, ho solo la certezza dei miei dubbi, ma io preferisco un ciclismo senza pubblico che un pubblico senza il ciclismo.
Felice GIMONDI. 1 (anno). È stato il mio campione e mai avrei immaginato un giorno di arrivare ad essergli amico. È stato lui a farmi scattare la scintilla di quell’amore sconfinato per la bicicletta, per il ciclismo, per la strada, per il Giro e il Tour. È nato tutto per caso, come per caso, in un giorno luminoso di agosto, si è spenta una luce che abbacinava il mio cuore. È proprio vero, la notte sopraggiunge d’improvviso anche in pieno giorno, e la mente rivive nella luce abbagliante del ricordo. Ciao Felice.