Un omaggio a lui, Gianni Mura, ma anche a tutti noi che possiamo godere ancora della sua scrittura. Da venerdi 7 agosto in edicola con Repubblica c'è «Gianni Mura e i racconti della Bicicletta», 37 reportage di Gianni più una appendice in cui si parla del metodo Mura, e cioè del suo modo di fare giornalismo. In totale 236 pagine divide in sei sezioni, ci sono anche suoi articoli dal Giro e Tour ai tempi della Gazzetta, e cioè dai 19 ai 27 anni.
Una autentica chicca per tutti gli appassionati, proposta da oggi e per i prossimi due mesi a 9,90 euro più il prezzo di Repubblica.
Ad arricchire ulteriormente il libro, la prefazione di Emanuela Audisio della quale vi proponiamo l'incipit:
Gli piaceva il ciclismo perché è l’unico sport «dove chi fugge non è un vigliacco». L’estate per lui erano soprattutto le due ruote. Mura partiva per le corse con la gioia dei bambini che vanno al mare. Solo che le biglie con cui giocava erano vere. E il secchiello e paletta con cui costruiva i suoi castelli di sabbia erano un mondo di memorie: con osterie, cucine, imprese, canzoni e umanità. Il giorno dopo nulla era scomparso, tutto era ancora lì, a reggere le maree. Non usava il navigatore, l’uomo girava ancora con le cartine geografiche, ma conosceva le storie di ogni manubrio, e nel cuore aveva i piccoli cimiteri dove i morti non sono troppo lontani dai vivi.
Mura on the road era più Woody Guthrie che Jack Kerouac, anche se certi paragoni con l’America sono inutili, perché lui amava Sergio Endrigo, che orfano di padre a sei anni, aveva esordito sul tavolo da osteria di Bepi Mustaccia. A 22 anni Mura affronta il suo primo tour bevendo Muscadet, evita il Bordeaux «perché è un signore che se la tira parecchio», e dal 2003 chiude con il foie gras per ragioni etiche («l’ingozzamento forzato di oche e anitre è barbaro»). Il ciclismo sì, fatiche e arrampicate, Gianni aveva iniziato a seguire il Giro a 20 anni per la Gazzetta dello Sport: Motta, Tacconi, Gimondi, il mondiale vinto da Adorni nel ’68 lo raccontò con le emozioni della moglie, Vitaliana, che lo aspettava all’autodromo di Imola. Poi suiveur del Tour per Repubblica dove se anche non capivi di cronometro e di volate, trovavi da lettore sempre un po’ di zucchero filato: Pantani il fossile, il Pantadattilo, Contador che sul cranio ha 70 punti di sutura per un aneurisma che lo fa cadere nel 2004 durante il giro delle Asturie, Egan Bernal, primo colombiano a vincere il Tour (nel 2019) «che ha imparato l’italiano ai piedi dell’Etna per poi passare nel Canavese dove alla trattoria Buasca di Cuorgnè staranno brindando».
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