Alberto Bettiol è il ciclista che dopo la quarantena si è fatto fotografare mentre pedala con la mascherina («Un invito a non abbassare la guardia contro il virus»). E’ anche quello che è andato al poligono di tiro («Me l’ha proposto l’ex corridore Dario Pieri: mai sparato prima, è rilassante»), che si è lasciato crescere i capelli («O corti o lunghi, non amo le mezze misure»), e che con Nibali, Ulissi, Aru e Pozzovivo, coi quali si allena in Svizzera dove vive da due mesi fa, allieta le serate del popolo social nelle divertentissime dirette dell’ex pro Lello Ferrara.
Alberto Bettiol è soprattutto l’ultimo ciclista italiano ad aver vinto una grande classica: un anno fa, la sua impresa al Fiandre gli è valsa il primo centro tra i pro. E’ stata la perla di una stagione in cui è salito anche due volte sul podio tricolore ed ha corso un ottimo mondiale: motivi validissimi per ritenere che da corridore promettente il ragazzo di Castelfiorentino si sia trasformato in certezza.
Bettiol, come è stata la quarantena?
«Faticosa perché inaspettata: è cambiata di colpo la vita, non ero abituato a restare tanto tempo lontano dalla famiglia».
Come l’ha passata?
«Per fortuna in Svizzera mi sono potuto allenare. Poi ho fatto un po’ di rulli, gare virtuali come il Fiandre e il Giro. Il ciclismo vero, però, è all’aria aperta».
Cosa le è mancato di più?
«Le corse. Sono stati cancellati i mesi con le gare che piacciono a me, Tirreno-Adriatico e classiche. Mi ero preparato bene, avevo pure vinto: peccato».
Quanto è dura riprogrammarsi?
«Ora che c’è un calendario, posso svegliarmi pensando che il primo agosto si ripartirà. Per faticare in allenamento devi avere un obiettivo. Voglio esser fiducioso: dobbiamo tornare a correre».
Vista da fuori, la colonia italiana in Svizzera è uno spasso.
«Stiamo bene insieme. Bel gruppo, affiatato, soprattutto di gente forte: purtroppo per me sono tutti scalatori, ogni volta mi toccano salite dure…».
Perché Nibali dice che lei andrebbe preso a bastonate?
«Perché mi vuole bene. Ci conosciamo da anni, ma solo ora ci alleniamo insieme. A sentir lui, ho vinto poco rispetto al potenziale che ho».
In fondo ha solo 26 anni…
«Vero, ma il ciclismo è cambiato: ora a vent’anni si vince il Tour come Bernal o si fa subito la voce grossa come Evenepoel. Io mi considero fuori norma, sono stato poco sfruttato nelle categorie giovanili: posso migliorare ancora tanto».
Perché a fine stagione scorsa ha detto di voler ritrovare spensieratezza?
«Aver centrato la prima vittoria nella corsa più bella e più dura mi ha cambiato la dimensione: ho faticato a gestire la vita quotidiana, sono aumentate richieste e aspettative. Le gambe c’erano, la testa non era libera. E’ il mio obiettivo per il 2020: restar tranquillo, correre senza l’assillo di dover vincere sempre».
Anni fa, per un guaio alla schiena, era finito sulla sedia a rotelle.
«Colpa della sacroileite, un malanno dovuto allo scarso sviluppo dei muscoli che stabilizzano il bacino. Ci ho messo del mio, il resto l’ha fatto la squadra, affiancandomi un team di specialisti».
Tutte le corse in cento giorni: come si affronta un calendario così?
«Non si potrà staccare mai. Sarà strano affrontare subito una grande classica con due gare nelle gambe. Mi aspetto sorprese, perché c’è chi si è allenato sempre e chi ha dovuto farlo sui rulli».
Bettiol, a quali bersagli mira?
«Tornare in Belgio e mostrarmi competitivo: sarebbe una soddisfazione personale. Come calendario la squadra ha programmato solo agosto, dove farò Strade Bianche e Sanremo. Mi piacerebbe essere al Giro, ma a ottobre ci sono anche le classiche… Prima di tutto, però, riprendiamo a correre: è ciò che conta».
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