Non sarà facile, questo è chiaro. Non sarà facile ripartire, sia a livello economico, ma anche sotto l’aspetto sportivo. Non sarà facile perché temo che non lo si voglia fino in fondo. Si cerca il contagio zero, la sicurezza assoluta, quando nella sostanza, forse, la si avrà solo e soltanto quando ci sarà un vaccino. Quindi? Quindi credo che si debba provare con tutte le precauzioni del caso a convivere con questa emergenza e con questa carogna che ci ha sconvolto la vita. Rcs Sport ci proverà. È chiaro che ci proverà a mettere in scena le proprie corse, dalla Strade Bianche alla Sanremo, che potrebbero essere proprio le corse della rinascita e della ripartenza, financo al Giro d’Italia nel mese di ottobre. Ma non dipenderà solo e soltanto dagli organizzatori: c’è di mezzo un virus che nel frattempo deve aver allentato la presa, e ci dovrà essere una forte volontà politica affinché lo spettacolo del ciclismo possa andare in scena. La Rcs Sport non potrà chiaramente fare da sola, dovrà essere supportata, spalleggiata dal nostro Governo. Non è un problema di Federazione o Rcs, ma di misure governative. Di visione di insieme. Paura del virus? Anche, ma soprattutto il timore di prendere decisioni. Ma vedrete, alla fine le prenderanno, prendendosi anche il Giro. Mettiamoci il cuore in pace.
RESILIENTI. È forse giunto il momento di metterci mano per provare a ripensare il ciclismo di alto vertice che sta piombando rapidamente negli abissi più profondi. L’Uci ha il compito nonché il dovere di provarci, senza fare voli pindarici, senza pensare ad una realtà che è ben diversa da quella ipotizzata. Le squadre non hanno soldi, sono tutte in sofferenza, forse è il caso di abbassare le ali, per provare a rialzare la testa. Un World Tour composto da dieci, massimo dodici eccellenze, alle quali poter garantire un’attività di alto livello, poi una buona seconda divisione, con regole chiare e certe (comprensibili a tutti), che potranno correre i Grandi Giri con wild card che farebbero comodo alle squadre, agli organizzatori e anche alle Federazioni. Un ciclismo più umano e appetibile, ma temo che i sapienti di Aigle siano molto più resilienti di questo maledetto virus.
AMORE DI PLASTICA. In questo lungo periodo di distacco e allontanamento sociale, molti di noi hanno scoperto lo sport virtuale. Ne parliamo in questo numero, raccogliendo pensieri e opinioni, valutazioni e consigli. Un Giro e un ciclismo virtuale già divenuto realtà, ma che non potrà mai sostituirsi quello reale. Un ciclismo senza vento, pioggia e gelo non è ciclismo. Senza la forza cinetica di una curva affrontata “a tutta” in discesa non è niente. Senza il rischio è un ciclismo sciapo, privo di sapore. È chiaramente un buon ciclismo, non più surrogato come al tempo dei nostri primordiali rulli, ora si fa sul serio, per davvero, simulando lavori veri, verissimi, che potranno essere anche usati durante la stagione, per completare carichi di lavoro. Questo lo sappiamo. Ma andiamoci cauti con l’esaltazione di uno strumento che avrà senso solo e soltanto se ci sarà lo sbocco su strada. La declinazione “virtuale” è sopportabile solo se ognuno di noi ha come obiettivo quello di tornare a pedalare all’aria aperta, a tutta velocità: se questo verrà meno, non ci sarà nemmeno ciclismo virtuale.
Quello che non sappiamo e non so è come si ricomincerà. Mi preoccupa maledettamente che dal ciclismo “virtuale” si possa passare direttamente a una vita di plastica. Un ciclismo di plexiglass, fatto di mascherine e protezioni. Questo non lo sopporterei, e penso che neanche la grande famiglia del ciclismo potrebbe sopportarlo. Il ciclismo è il nostro amore e, come cantava Carmen Consoli, “io non posso accontentarmi/ se tutto quello che sai darmi/è un amore di plastica”.
#BASTAHASHTAG. Questo doveva essere il principio della sua seconda vita, o almeno di un’altra carriera. Questa volta però non si è fermato Fabio Aru, si è fermato addirittura il mondo. «Sembra incredibile, ma è andata così - ha raccontato il Cavaliere dei quattro Mori -. Però mi rifiuto di lamentarmi. Penso a chi sta perdendo molto più di questo, a chi ha perso le persone che ama, a chi ha perso la vita. Sono un po’ stanco di sentir dire che andrà tutto bene. Anche se dovesse risolversi domani, non è andata bene per niente». Tra le tante cose lette in questi mesi, fatte della retorica più stucchevole e spinta, io la penso proprio come lui, ragazzo che parlerà anche poco, ma in questo caso lo fa a ragion veduta. Alla faccia degli influencer e dei loro dannatissimi cancelletti seguiti da slogan respingenti. #bastahashtag.
Editoriale, da tuttoBICI di Maggio
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