Caro Direttore,
stiamo vivendo, tutti, tempi grami. Inutile girarci intorno: la minaccia invisibile, non intendo volutamente pronunciarne il nome, ci sta cambiando. Anzi, ci ha già indotto, voglio evitare consapevolmente di dire "costretto", a cambiare stili e modi consolidati della nostra esistenza.
#IOSTOINCASA non è un esortativo salvifico, ma la nostra vita sottoposta a regime domiciliare. Una misura che, in ambito penale, ha istituzionalmente finalità cautelari, vale a dire di tutela di specifiche esigenze enunciate per legge, e viene adottata ed applicata per disposto dell'Autorità Giudiziaria, ce la ritroviamo... autoimposta.
Funzionalmente, a fini preventivi e ad "evitare il dilagarsi del contagio": di fatto, privandoci volontariamente, ed aggiungo coscienziosamente, di libertà alle quali, solo poche settimane fa, neppure nell'anticamera del cervello avremmo trovato un posticino perchè lo accettassimo. Se non è questo un cambiamento radicale della nostra vita, ditemi pure cosa mai sia.
Il ciclismo, il nostro amato ciclismo che proprio della libertà reputo sia autorevole e insostituibile portavoce, non si è... sottratto alle proprie responsabilità. Da coloro che ne hanno fatto un lavoro, i Professionisti, fino a chi lo pratichi "per diletto" (definizione... arcaica, riesumata nelle contingenti circostanze, che non brilla certo per specificità e chiarezza enunciative), tutti fermi, o comunque grandemente limitati nell'esercizio della disciplina. Il dibattito, presto ed opportunamente abortito, nell'interpretazione dei provvedimenti normativi - non si dimentichi, emanati in via di necessità ed urgenza - su di eventuali deroghe o... "scappatoie" per Tizio anzichè per Caio, è stato in qualche modo una cartina di tornasole di quanto sia carente una, a mio parere indilazionable, differenziazione tra chi esercita Professionalmene un'attività agonistica ancorchè sportiva, e... tutti gli altri: insomma, senza che alcuno debba stracciarsi le vesti, la legge non può continuare ad essere uguale per tutti. Ma questo è un altro discorso, da rimandare, auspico, a tempi migliori.
Quel che è certo, è che non sarà facile cavarci d'impiccio: altrettanto certo, a mio sommesso avviso, è che anche il ciclismo alla fine vincerà. Lottando e sgomitando, com'è giusto che si , verrà stroncato anche questo maledetto ed infido avversario. Si tornerà agli allenamenti, alle competizioni, alle uscite in bici. Ci vorrà del tempo. E tanta pazienza, unitamente ad una massiccia dose di fiducia e insieme di determinazione. D'altronde, visto che ipotizzare o fantasticare non costa nulla, qualche segnale di come per il 2020 stessero evolvendo anche le "cose ciclistiche", e non in bene, dovevamo coglierlo.
Ci avevano lasciato uomini che del ciclismo erano stati - io amo usare il presente, ancora sono - esempi di classe, personalità ed umanità: in semplice ordine mnemonico, e scusandomi per chi altri (Pipazza Minardi, dalla mia Romagna) possa trascurare o dimenticare, Felice Gimondi, Giorgio Squinzi, Raymond Poulidor si erano congedati da noi, con la stessa autorevolezza mista a signorilità con la quale avevano vissuto e svolto i propri compiti. Per chi, come il sottoscritto, è entrato in quella fase della vita in cui si ha più passato alle spalle che futuro davanti, campioni come atleti e uomini che appartengono di diritto ad una sorta di meravigliosa Mitologia Ciclistica. Se si vuole, e si crede, al paradiso del ciclismo.
Ora che anche Gianni Mura, uno dei massimi e ultimi "cantori" delle loro gesta, ha deciso, non so quanto di suo o per un insindacabile intervento dall'Alto, di lasciarci ancora più orfani di quel Ciclismo con la C maiuscola che non è solo sport ma fondamentalmente è cultura di vita, c'è veramente di che riflettere. Se solo si potesse, cancellando tutto con un semplice colpo di spugna (o resettando, come dicono "i moderni"), non varrebbe la pena di... passare direttamene al 2021?
Cordialmente.
FIORENZO ALESSI