180 centimetri e 78 chili di pura potenza. Pascal Ackermann è uno dei velocisti del momento e può tranquillamente essere inserito nella Top 5 dei corridori più veloci al mondo. E pensare che fino a circa un anno e mezzo fa in pochi lo conoscevano, se non chi ne aveva osservato la crescita sin da quando indossava la maglia della Rad-Net Rose, con la quale si era messo in mostra in corse di seconda fascia e centrato un secondo posto al mondiale U23 di Doha nel 2016.
Ma è il 29 aprile del 2018 che il suo nome irrompe prepotentemente nella scena del grande ciclismo internazionale. Nella quinta tappa del Giro di Romandia, Ackermann brucia allo sprint Morkov e Ferrari, portandosi a casa la prima vittoria da professionista. Da quel giorno il ragazzo tedesco, nato nel 1994 a Kandel, nella Renania-Palatinato, molto vicino al confine francese, non si è più fermato, inanellando 22 vittorie in 19 mesi. Non si può dire fosse un predestinato e tantomeno un talento precoce, perché se il primo successo tra i grandi arriva quando ha 24 anni, vuol dire che ha dovuto passare molte stagioni di gavetta. Il duro lavoro ha però pagato, eccome, e dopo una lunga rincorsa Pascal ha raggiunto un livello di eccellenza assoluta.
«Ho iniziato prestissimo ad andare in bicicletta, avevo appena 6 anni. Mio fratello correva, mia sorella correva e perfino mio nonno aveva corso. Diciamo che non avevo scelta, ero circondato da ciclisti - ci spiega -. La Germania, poi, ha una grande tradizione di velocisti. Sono cresciuto guardando Erik Zabel, un vero idolo, ma negli ultimi anni ho ammirato molto anche Marcel Kittel e André Greipel, che poi mi sono ritrovato in gruppo e guardandoli da vicino ho cercato di imparare qualche trucco del mestiere».
Nel 2017 la Bora-Hansgrohe aveva intuito il suo potenziale, ma probabilmente neanche i tecnici del team tedesco si aspettavano una tale esplosione da parte di Ackermann, tanto che presto si sono trovati a gestire tre prime donne dello sprint, visto che oltre a lui c’erano anche Sam Bennett (che difatti se n’è andato scegliendo la Deceuninck) e Peter Sagan. Tedesco in una squadra tedesca, però, Ackermann è stato subito coccolato e fatto passare avanti nelle gerarchie rispetto a Bennett: «Dopo lo splendido 2018 ero un po’ ansioso in vista della nuova stagione, perché confermarsi è sempre la parte più difficile e si ha paura di aver vissuto solamente un’annata fortunata. Ma con la squadra ci siamo posti grandi obiettivi, volevamo alzare l’asticella e provare a crescere ulteriormente: alla fine penso che ci siamo riusciti. E adesso voglio migliorare ancora, credo di avere ancora dei buoni margini di crescita».
Ma come si fa a fare un ulteriore passo in avanti, quando si è già raggiunto un livello altissimo?
«Credo di poter perdere ancora un po’ di massa grassa, una piccola percentuale, mi sento ancora grasso (ride, ndr), e se dovessi riuscirci penso di poterne sfruttare i benefici in volata. Poi ovviamente si può sempre migliorare la coordinazione con il proprio treno. Insomma, ci sono ancora degli elementi su cui poter lavorare. Voglio tornare ancora più forte in questo 2020».
Al Giro d’Italia abbiamo imparato a conoscerlo per il suo sorriso, tanto che qualche addetto ai lavori lo ha soprannominato “Smile Ackermann”. Anche nella tappa di Modena, quando arrivò al traguardo completamente sbriciolato da una caduta, non mancò di sorridere davanti alle telecamere. Eppure, possiamo assicurare di averlo visto infuriato in Cina, al Tour of Guangxi, dopo aver chiuso secondo nelle prime due tappe e aver saltato le interviste di rito: «Come molti velocisti, odio perdere, soprattutto se so di poter vincere una vlata e magari mi accorgo che qualcosa va storto e non riesco a far la volata come avrei voluto. Se invece trovo qualcuno più forte di me, non posso fare altro che fargli i complimenti».
Nella stagione scorsa, in fin dei conti, ha perso poche volte: «È stata ovviamente la stagione migliore della mia carriera, ho vinto dall’inizio alla fine - ha continuato -. Non sono stato il più vincente dell’anno, Groenewegen è riuscito a fare meglio di me con 15 vittorie, ma direi che non mi posso lamentare, è stato un anno grandioso, 13 successi sono davvero tanti. Adesso riparto con la consapevolezza di essere uno dei migliori al mondo, in fin dei conti è solo il secondo anno che sono a questi livelli».
Tra le tredici vittorie spiccano i due successi di tappa al Giro d’Italia, che tra le altre cose era anche il primo Grande Giro della sua carriera. Insomma, Pascal è un vincente: «Da un punto di vista affettivo, il successo al Giro di Francoforte è stato importante, ma la prima vittoria al Giro d’Italia, a Fucecchio, è sicuramente quella più prestigiosa della stagione e, per ora, della mia carriera».
Se gli si chiede di indicare lo sprinter secondo lui più forte al mondo va in difficoltà, non sa cosa rispondere, anche se probabilmente spera presto di poter indicare se stesso: «In questo periodo è difficile fare una gerarchia di velocisti o individuare il più forte. Penso a Groenewegen, a Ewan, a Gaviria e a Viviani, una volta vince uno e una volta vince un altro. C’è grande livellamento, naturalmente ad alto livello».
Quel che è certo è che quest’anno potremo avere qualche risposta in più a questo quesito, perché con l’addio alla Bora di Bennett e con Sagan al Giro d’Italia, Ackermann avrà la possibilità di esordire al Tour de France e sfidare a viso aperto il gotha delle ruote veloci. Vestire la maglia gialla oppure sfrecciare sui Campi Elisi sarebbe bello, certo, ma il sogno nel cassetto del ragazzo di Kandel è un altro: «Vorrei diventare campione del mondo, ma al momento è un traguardo che vedo molto lontano, anche perché, per ora, non sembrano esserci percorsi iridati pensati per velocisti. Però poter indossare per un anno la maglia arcobaleno per me sarebbe veramente il coronamento di una carriera».
da tuttoBICI di gennaio
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