Duemila chilometri, forse più. In sedici-diciassette giorni, forse più, forse meno. Da solo, d’inverno, in bici, nel deserto. Il deserto del Gobi. E’ la nuova avventura di Omar Di Felice. Nuova per lui e per tutti, perché nessuno – da solo, d’inverno, in bici – ci ha mai provato. E avventura perché si sa quello che si trova, ma non quale, quanto, quando. Non un viaggio nell’ignoto, nel mistero, nel niente, ma nell’imprevisto e nell’imprevedibile. E, come spesso, o forse come sempre, anche un viaggio in se stessi.
Trentotto anni, romano, Di Felice sa, più o meno, chi e che cosa lo aspettano: “Tra Mongolia e Cina, un’area quattro volte più grande dell’Italia. Partirò il 10 febbraio, ritornerò – perché il mio obiettivo è, sempre, tornare a casa – entro il 7 marzo. Il visto della Mongolia dura un mese. Finora, soltanto Reinhold Messner ha attraversato il Gobi, ma a piedi, in primavera, poi ha spiegato che è una regione troppo calda per essere affrontata d’estate e troppo fredda per farlo d’inverno, e l’unica stagione possibile è la primavera. Il mio è non solo un viaggio, ma una sfida”.
In mongolo, ‘gobi’ significa ‘luogo senza acqua’: “Sarà proprio l’acqua il principale problema. Con me avrò una scorta di quattro litri, sufficienti per sopravvivere due giorni. Poi dovrò cercare di trovare l’acqua nei villaggi lungo il percorso. In questi giorni di preparazione, mi sto allenando a pedalare senza mangiare e senza bere. Eppure, quello che mi preoccupa di meno è proprio la preparazione fisica: la chiave sta sempre nella testa. Dovrò misurarmi con l’assenza, con la mancanza, con il vuoto. Dovrò cavarmela da solo”.
Solo, ma fino a un certo punto: “Stavolta non ho voluto il mio gruppo di supporto, perché, paradossalmente, non avrebbe risolto problemi, ma li avrebbe creati: altre persone, altri mezzi, altri costi, altri bisogni, altre esigenze. Avrò un unico punto di riferimento, una guida locale, un giorno di viaggio dietro di me. Saremo in contatto, per sicurezza. E poi ci saranno le popolazioni nomadi: pastori, mandrie, tende. E infine ci saranno gli animali: dai lupi ai giaguari delle nevi”.
Di Felice è carico, in tutti i sensi: “Carico di voglia, curiosità, entusiasmo. E carico anche sulla bici: un modello ‘gravel’, con gomme più larghe, una decina di chili a secco più quindici-venti di bagaglio. Dentro, anche due dispositivi Garmin per aiutare a orientarmi e il minimo indispensabile per comunicare con chi mi seguirà da casa. Sarò un puntino su una mappa. E un paio di dispacci al giorno”.
Al ritorno si vedrà: “Incontrerò rischi, anche quello del fallimento. Farò un reportage, foto e video, forse un libro, chissà”. In “Pedalando nel silenzio di ghiaccio” (Rizzoli), Omar si è già raccontato nell’Arctic Highway, 1300 chilometri polari. Ma nel deserto del Gobi sarà tutta un’altra storia.