E’ un desiderio, un’innocenza, o forse un’illusione. E’ un’atarassia, un’allegria, o forse un’assenza. E’ un traguardo, una meta, o forse un viaggio. E’ uno stato d’animo, un modo d’essere, o forse un’opera d’arte. La felicità è un amore, una passione, o forse soltanto (soltanto?) una pedalata.
Valter Ballarini e Daniela Angelozzi hanno scritto “La felicità in bicicletta” (Edizioni Il punto d’incontro, 144 pagine, 11,90 euro). Più facile scrivere quello che questo libro non è: non è un manuale, non è un saggio, non è un’antologia, non è un trattato, non è un romanzo né una favola, non è neanche un decalogo o un ricettario. Perché è sensazioni tradotte in pensieri, idee elevate a teorie, perfino qualche conoscenza diventata certezza. Tutto nasce da una pratica ciclistica e da un blog esistenziale: “Modi di essere e di percepire la realtà attraverso una visione leggermente laterale rispetto al senso comune, occupandoci delle nostre cellule e degli effetti che il ciclismo produce sulla nostra mente, oltre che sul nostro corpo”.
Trentasette capitoli, introdotti da altrettanti aforismi. Il primo capitolo, “La felicità”, potrebbe essere l’ultimo: “La felicità si prova. Lo stato di felicità non ha relazione con il tempo. Può essere la percezione magica di un attimo o anche il protrarsi indefinito di uno stato di consapevolezza…”. L’ultimo capitolo, “Conclusioni… per iniziare il viaggio”, potrebbe anche essere il primo: “La bicicletta senza di noi sarebbe un oggetto immobile. Insieme a noi acquista ed esprime le sue potenzialità… Entrando in questa sorta di stato di trance, noi siamo la bici, siamo ciò che ci circonda, siamo l’aria che respiriamo…”.
Ballarini e Angelozzi scoprono la notte (“Di notte si apprende l’arte di immaginare. E’ come viaggiare tra le stelle… Di notte l’attenzione si concentra su se stessi e i pensieri vagano e si perdono nel buio”), rivalutano la pioggia (“Speriamo che piova. Sì, perché pedalare quando piove, restando all’asciutto, è un’esperienza bella da vivere”), celebrano le donne (“Finalmente anche il mondo delle due ruote si è accorto della presenza massiccia delle donne… Il sorriso delle cicliste non è casuale, è la naturale espressione di un modo più evoluto di interpretare il piacere di andare in bicicletta, di godere delle sensazioni fisiche e mentali… Si studiano geometrie al femminile…”) e avvertono su eventuali rischi (“All’aumentare dell’intensità e della durata dell’allenamento cala in parallelo la libido”).
Fra i rischi più comuni, quello di incontrare i “ciclisti vampiri”: “Sono persone all’apparenza normali e innocue, magari anche socievoli ed estroverse…”, “che nascondono bisogni inappagati e piccoli vuoti interiori che non sono in grado di colmare da soli…”. I loro atteggiamenti più comuni? “Egocentrismo (parlano solo delle proprie imprese). Invadenza (fanno un sacco di domande sul tuo modo di andare in bici e ti riempiono di consigli inutili). Tendenza a giudicare (si lamentano di tutti, degli automobilisti, delle strade, degli altri ciclisti). Manipolazione (tendono a spiegarti quello che tu già sai su come funziona la bici e su come si pedala in salita). Mancanza di ironia (non capiscono le battute). Sono noiosi (disquisiscono solo di luoghi comuni)”.
Quanto agli aforismi, quello di Emo Philips, attore e comico statunitense, ha il dono della leggerezza ciclistica: “Quando ero piccolo pregavo ogni notte per avere una bicicletta nuova. Poi ho capito che il Signore non fa questo genere di cose, allora ne ho rubata una e gli ho chiesto di perdonarmi”.
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