Veniva da Montegranaro. Per il ciclismo di allora, le Marche erano di un’altra latitudine, di un altro emisfero, di un altro pianeta. Ma quale pianeta: semmai, satellite. Il gruppo dei piemontesi lo aveva accolto con freddezza e pregiudizio. Così, quel giorno, quando Fausto Coppi dichiarò che l’allenamento quotidiano sarebbe stato battaglia, anzi, guerra, il gruppo dei piemontesi considerò Michele Gismondi da Montegranaro la prima vittima, il primo staccato da tutti. E invece.
E invece, quando ai piedi di una salita Coppi accelerò l’andatura, a staccarsi fu, perdendo i pezzi a uno a uno, il gruppo dei piemontesi. E l’unico, l’ultimo a resistere alla ruota del Campionissimo, fu proprio Gismondi. Ma come, commentò Coppi rivolgendosi al gruppo dei piemontesi, non era Gismondi quello che correva con i muli?
Si è raccontato di Gismondi, l’altra sera, ad Ancona, durante la presentazione di “Coppi ultimo” (66thand2nd). Perché Gismondi fu l’ultimo degli angeli custodi di Coppi, perché fu suo gregario (molto di più: compagno, amico, ombra) nella sua ultima squadra, la Tricofilina-Coppi, perché fu coppiano per sempre nella devozione, nel rispetto, nel ricordo. Lui che correva con una bicicletta con i rapporti studiati per Coppi, non per lui, per potergli passare la ruota, la ruota giusta, in caso di foratura. Lui che una volta passò a Coppi, in crisi di fame, un’arancia, e Coppi la mangiò tutta, buccia compresa, e dopo un paio di minuti era come nuovo. Lui che aveva chiesto, e ottenuto, che Coppi gli facesse da testimone di nozze. Lui che, morto Coppi, riceveva telefonate e visite di Gino Bartali, per un consiglio, per un indirizzo, per un invito, e infine per un regalo: un paio di scarpe.
Dovunque si parli di Coppi, se ne rinvengono tracce, scie, traiettorie. Ad Ancona si è ricordato anche Ubaldo Pugnaloni, gregario quando corse per Coppi nella Bianchi del 1946 e 1947, gregario quando ospitò Fausto e Giulia durante un periodo di domicilio coatto, e ancora gregario quando guidò la sua Fiat 600 da Ancona a Tortona per salutare per l’ultima volta Coppi, nella bara, e descriverlo come nessun altro riuscì, in poche e definitive parole: “Aveva la faccia gialla come la buccia di un limone e i capelli diritti come una spazzola”. E ad Ancona si è ricordato soprattutto Alceo Moretti, quel genio che inventò e costruì la Tricofilina-Coppi, e a rappresentarlo c’erano i suoi figli, Sergio (così battezzato in omaggio all’amico Sergio Zavoli) e Giorgio, non Renata (il cui padrino di battesimo è stato Ercole Baldini).
Coppi era Coppi, dicevano. Macché: Coppi era l’Italia e gli italiani.
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