Partì da Boston il 27 giugno 1894: aveva 24 anni, una bicicletta-cancello (Columbia) di una ventina di chili, la gonna lunga e una pistola. Arrivò a Chicago il 12 settembre 1895: aveva 25 anni, una bicicletta da uomo (Sterling) sponsorizzata, un paio di pantaloni e una terribile nostalgia per il marito e i tre figli. Aveva fatto il giro del mondo: Stati Uniti, Francia, Egitto, Israele, Yemen, Sri Lanka, Singapore, Vietnam, Cina, Russia (forse), Giappone e ancora Stati Uniti.
Annie Kopchowsky, sposata Cohen, soprannominata Londonderry, fu la prima donna a circumpedalare la Terra, con qualche dichiarato passaggio su piroscafi e treni. Il primo viaggio, a nove anni, con i genitori, in nave, dalla Lettonia agli Stati Uniti. Poi quello sui libri, “Il giro del mondo in ottanta giorni” di Jules Verne, a capofitto, senza più confini. Infine quello in bici, da sola, ma in mezzo a tutti, nato per scommessa, vissuto fra incontri storici (con Monet, con Degas…) e disavventure a lieto fine (furti, arresti e pigionie), pedalando sempre in bilico fra scandalo e ammirazione. Dopo la biografia “Il giro del mondo in bicicletta” di Peter Zheutlin (Elliot, 330 pagine, 14,50 euro), la storia di Annie Londonderry è diventata una graphic novel scritta da Roberta Balestrucci Fancellu, illustrata da Luogo Comune e pubblicata da Sinnos (96 pagine, 12 euro).
Rivoluzionaria (“E i bambini, Annie? – le chiedeva il marito, a ruoli rovesciati rispetto a quelli tradizionali – Chi penserà a loro mentre tu sarai via?”) e geniale (tre mosse per dare scacco matto all’ambasciatore americano, che poi le giurò eterno soccorso), imprenditrice (“Lei è la testimonial perfetta per la nostra acqua minerale!”, le annunciò un industriale mentre la ciclista faceva quello che oggi si chiama “crowdfunding”, colletta) e giornalista (“Avevo una rubrica sul ‘New York World’, cosa potevo chiedere di più?”), Annie andava a tutta (“Mi piaceva sempre di più mimetizzarmi tra la folla, così, prima di scendere a terra, mi misi un kimono maschile verde con pantaloni larghi neri”), andava come il vento (“Il vento che avevo gelosamente custodito nel mio sellino, al quale mi ero sempre ricolta per una spinta nelle salite più lunghe, poteva ritornare in una delle tasche del mio abito”).
La vita è stata meno generosa di quanto lo sia questa graphic novel. Annie Londonderry morì dimenticata, nel 1947, a 77 anni. Ci è voluto il pronipote Zheutlin con la biografia a restituirle luce e gloria, poi, a ruota, l’attrice Evalyn Parry con l’opera teatrale “Spin” e il regista Gillian Klempner Willman con il documentario “The New Woman – Annie Londonderry Kopchowsky”, e adesso anche così. A fumetti, la vita è più bella.
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