Esordì raccontando la morte di Fausto Coppi. Ha continuato tra calcio e ciclismo, Mondiali e Olimpiadi, Grande Torino e anti Juventus, Berruti e Mennea, gialli (intesi come thriller) e rossi (intesi come vini). E a 84 anni compiuti non smette di intervistare e commentare, chiosare e spiegare, ricordare e profetizzare, scrivere e descrivere, intuire e spettegolare. Perché inesauribile, inossidabile, irrefrenabile. Cantastorie? Cantaglorie.
Gian Paolo Ormezzano canta “I cantaglorie” (66thand2nd) da autentico, gigantesco cantaglorie. Direttore di “Tuttosport” ed editorialista della “Stampa”, collaboratore a vita di “Famiglia cristiana” e “tuttoBICI”, vola da un’enciclopedia a un saggio, emigra dallo sport alla gastronomia, non ha mai detto di no a nessuno, tanto da fondare e dirigere una rivista – “La buona sera” – dedicata alla vita, soprattutto alla morte e a qualche miracolo, sostenuta da un ex corridore specializzato in onoranze funebri (Alcide Cerato). Da Gianni Agnelli a Giampiero Boniperti, da Ferrari (Enzo, il Drake, di cui era il “ghost writer”) fino a Cairo (Urbano), Ormezzano non si è fatto mancare mai nulla: stelle e dive, notizie e scoop, fantasisti e manager, sbarchi e viaggi, olimpionici e iridati, confidenze e polemiche, mediani e gregari, prefazioni e pamphlet, massimi e timonieri, corsivi ed editoriali, in un’epoca in cui (sembra passato un secolo: ed era proprio lo scorso secolo) il giornalismo lo si faceva guardando, annusando, esplorando, toccando, soprattutto incontrando e parlando, abitando e vivendo insieme ai protagonisti. Un colpo di telefono, un caffè al bar, una cena in trattoria, una confessione al campo, un giorno in auto, una notte a tavola, un quaderno riempito di appunti, una storia scritta a macchina o dettata a braccio dal primo telefono libero.
Risultato: grandi pezzi. Risultato: grandi provocazioni. Risultato: grandi folgorazioni. Risultato: lo ammette lui con estrema trasparenza, anche qualche grande errore. Per esempio: i bond argentini. E risultato: grandi confidenze. Ormezzano è quello che condivide, ex aequo con Bruno Raschi, il dogma “Merckx il più forte, Coppi il più grande”. Ormezzano è quello che ha osato firmare “Il Vangelo del vero anti-juventino”. Ormezzano è quello che ha prodotto “Non dite a mia mamma che faccio il giornalista sportivo (lei mi crede scippatore di vecchiette)”. Ormezzano è quello che un derby Roma-Lazio, squallido nel gioco e nudo nel risultato, 0-0, lo ha titolato “Romolo e Remo non si ammazzano più”. Ormezzano è quello che per il deludente campionato iridato di ciclismo del 1969 ha stabilito il definitivo “L’uomo è andato sulla Luna ma il Mondiale l’ha vinto Ottenbros”.
Vulcanico, esplosivo, pirotecnico, mattatore, Ormezzano sarà il protagonista di un incontro a Roma, nel Museo napoleonico di Piazza di Ponte Umberto I, venerdì 8 novembre alle 18 (ingresso libero), nel programma del progetto “Alla fine della città”, a cura di Ti con Zero e della Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza, e nell’ambito della manifestazione “Contemporaneamente Roma 2019”, con il sostegno della Federazione ciclistica italiana. Nella circostanza l’attore Maurizio Cardillo con le letture e il musicista Alessandro D’Alessandro con l’organetto cercheranno di frenare, o almeno spezzare, gli ardori e le scintille del “cantaglorie”. Così, a occhio, invano.
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