Quanti anni ha Nibali? Quante corse ha vinto Merckx? Quando è morto Coppi? E’ mai arrivato primo Marangoni? Dov’è nato Wegelius?
Adesso, telefonino e wifi, Google e Internet, e in un paio di secondi si ha la risposta: Nibali ha 34 anni, Merckx ha vinto 525 corse, Coppi è morto il 2 gennaio 1960, Marangoni è arrivato una volta (l’ultima corsa!) primo, Wegelius è nato a Espoo in Finlandia.
Ma prima, come si faceva? Annuari, enciclopedie, biografie. Archivi. Archivi di carta: schede, ritagli, buste. Collezioni, microfilm. L’archivio della “Gazzetta dello Sport” era il luogo della memoria: una volta si saliva in un sottotetto, più tardi si scendeva in un seminterrato, e con l’aiuto degli specialisti (gli archivisti: navigatori del tempo) ci si tuffava nel passato. Recuperando, riesumando, riscoprendo, ritrovando, rispolverando. Quel posto sapeva di cripta, avvolto nel mistero, altalenante tra religione e magia. Germano Bovolenta, collega del calcio dalla battuta fulminea e fulminante, sosteneva che Claudio Gregori, prima di immergersi nell’archivio, indossasse i paramenti sacri. Avremmo dovuto farlo. Il tesoro riposava su rulli rotanti. In ordine alfabetico. Le buste divise fra testi e fotografie. Il momento dell’estrazione aveva una sua solennità.
Una ricerca poteva durare ore. Era facile perdersi, distrarsi, divagare. Finché si risaliva in superficie, in redazione, storditi ma affascinati da quella macchina epocale, confusi ma sedotti da storie, episodi, dettagli, felici di aver rinvenuto una traccia o un’impronta, una dichiarazione o soltanto un aggettivo, ma capaci di arricchire il nostro nuovo pezzo. E consapevoli di quanto il passato custodisse gemme, diamanti, perle negati al presente. Volete mettere una fuga di Lauro Bordin o Lucillo Lievore con quelle dei pur valorosi Jacopo Mosca e Marco Frapporti? Volete paragonare le volate fra Dino Zandegù e Marino Basso con quelle tra Fernando Gaviria e Pascal Ackermann? Volete confrontare il Giro di Lombardia del Diavolo Rosso con quello di Bauke Mollema?
Gli archivi sono miniere di dati, giacimenti di notizie, depositi di verità. Contengono e proteggono tutti i nostri ieri. Per il mio “Coppi ultimo” (66thand2nd) sono ricorso alla Biblioteca nazionale in via Castro Pretorio a Roma, senza indossare stola né casula né pianeta come avrebbe fatto Gregori, scorrendo i microfilm della “Gazzetta dello Sport” dell’annata 1959 e del gennaio 1960. In un’alchimia di grandiosità e complicità, Fausto appariva, brillava, fuggiva e si eclissava, moriva e resuscitava, tra gregari e avversari, tra giri e classiche, tra mogli e figli, tra cicruiti e riunioni, tra ultimi capricci e ultimi regali. Un’esperienza mistica (ma anche visionaria, cinematografica, spiritica) a fini letterari. Il ritorno alla realtà mi trovava sempre spiazzato, disorientato, perfino nostalgico.
Fino a domenica 29 ottobre è in programma “Archivi aperti”, la quinta edizione di una manifestazione organizzata dall’Associazione Rete Fotografia, che quest’anno coinvolge 41 archivi e studi fotografici. Per esempio, a Milano giovedì 24 (ore 15-16) e venerdì 25 (ore 17-18) si può visitare l’archivio Luz (via Vivaio 6, prenotazione obbligatoria), nato dall’agenzia fotogiornalistica Grazia Neri: due milioni di immagini. Nell’occasione si parlerà della trasformazione dell’archivio da analogico a digitale, di come funziona un archivio oggi, e dell’importanza della fotografia d’autore.
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