In appena due stagioni da élite ha già fatto parlare di sé, affermandosi tra le migliori cicliste azzurre. Erica Magnaldi sta scalando molto velocemente le classifiche del ciclismo che conta, si è stabilizzata nelle posizioni di testa soprattutto quando si gareggia su percorsi duri e con tante salite. Quando la strada sale, infatti, la cuneese del team WNT Rotor si sente a casa, come quando fino a pochi anni fa metteva gli sci ai piedi. Erica sognava una carriera da professionista e la nazionale nello sci di fondo, invece ha trovato l’azzurro nel ciclismo. L’anno scorso è stata la migliore italiana sullo Zoncolan al debutto al Giro Rosa, ha conquistato la sua prima convocazione in nazionale e ha vinto anche la sua prima medaglia ai Giochi del Mediterraneo, dopo aver ottenuto tanti successi da dilettante nelle Granfondo ed essersi concentrata sugli studi in Medicina. In questa stagione si sta confermando tra le atlete più interessanti del panorama internazionale, tanto che al Giro Rosa ha chiuso nella top ten. Il ciclismo l’ha scoperto tardi ma lo sport delle due ruote le sta dando tanto. E pensare che quando era una sciatrice nemmeno le piaceva l’allenamento in bici. Preferiva la corsa o gli skiroll. Ora non può farne a meno.
Come hai scoperto le due ruote?
«In famiglia la passione c’è fin da quando ho memoria. Papà Fulvio ha sempre pedalato, contagiando mamma Lucia e mio fratello, che ha corso tra i dilettanti. Forse per quello da piccola ho voluto dedicarmi ad altro. Ho iniziato a sciare già all’età di tre anni e a sei ho fatto le prime gare. Nelle categorie giovanili ho ottenuto buoni risultati a livello nazionale e anche internazionale. Il mio grande sogno era diventare una fondista professionista. Purtroppo il problema del fondo è che hai quattro anni per entrare in un gruppo sportivo, tra i 16 e 19 anni. Se non riesci a farlo in quel periodo, quando è troppo presto vista l’età, sei praticamente tagliato fuori, a meno che non ti ritrovi in nazionale oppure almeno aggregato. È impensabile presentarsi al via delle gare di Coppa Italia pagandoti i viaggi da sola e preparandoti anche gli sci. Ero aggregata al Centro Sportivo Esercito a 18 anni, purtroppo nella stagione successiva andai male perché avevo sbagliato la preparazione, arrivando alle gare troppo allenata e con aspettative esagerate. A quell’età, però, se sbagli una stagione, resti tagliato fuori, come è accaduto a me. A 19 anni ho dovuto quindi accantonare il sogno del professionismo e mi sono iscritta a Medicina. Quando ho smesso, ho pensato di continuare a sciare solo per passione, non volevo più vivere lo stress delle gare».
Hai resistito poco.
«Esatto (sorride, ndr). Amo troppo lo sport agonistico, la competizione, così dopo un mese mi sono iscritta alle prime cronoscalate. L’adrenalina delle gare mi piace troppo. Poi quando fai sport già da bambino, non puoi vivere senza l’adrenalina della gara, che sia di fondo o ciclismo. Passata alle granfondo con il team De Rosa Santini mi sono appassionata sempre di più e man mano ho macinato sempre più chilometri. Al terzo anno di facoltà ho ricevuto le prime proposte da team élite, che ho rifiutato preferendo continuare con lo studio. Dovevo frequentare le lezioni otto ore al giorno: già con le granfondo ho dovuto affrontare mille sacrifici, allenandomi spesso alle cinque di mattina prima di andare all’università. Per questo motivo, nelle mie prime stagioni gareggiavo sempre sui percorsi medi, poi lentamente ho sfruttato il lavoro fatto nelle stagioni precedenti e ho affrontato quelli lunghi. La voglia di mettermi alla prova tra le élite, però, mi è sempre rimasta anche perché non è un’occasione che capita tutti i giorni e se volevo provarci dovevo farlo prima che fosse troppo tardi. Così, siccome all’ultimo anno di Medicina le lezioni terminano a dicembre, poi ci sono solo esami, ho pensato che fosse giunto il momento giusto per fare questo passaggio, dando gli esami tra una gara e l’altra. In più avevo perso un po’ di stimoli nelle granfondo, dove purtroppo eravamo sempre poche donne al via. Sono molto competitiva e avevo voglia di mettermi alla prova a un livello più alto».
A fine 2017 accetti la sfida della BePink.
«Grazie a Walter Zini e a tutta la squadra ho imparato a conoscermi come ciclista e sono migliorata ulteriormente, ambientandomi in un mondo completamente diverso da quello da cui arrivavo. Per me era tutto nuovo, anche quelle piccole cose che loro conoscevano e davano per scontate come prendere una borraccia al rifornimento. Alle prime gare, vedendo le migliori andare fortissimo, pensavo di non essere in grado di reggere il loro ritmo. Invece ho scoperto di poter tenere in salita e poter dire la mia. L’anno scorso mi sono messa alla prova al Giro d’Italia. La corsa più bella e dura di tutte. Non ero abituata a correre così tanti giorni di fila. Sono contenta che quest’anno siamo partiti dal mio Piemonte e sono riuscita a migliorarmi, chiudendo decima dopo il 13° posto finale di un anno fa. Tornando al 2018, è stato fantastico conquistare la top ten a La Course by Le Tour, ma soprattutto essere convocata in Nazionale per i Giochi del Mediterraneo e per i mondiali di Innsbruck. Quando mi hanno consegnato il borsone con l’abbigliamento della nazionale, sembravo una bambina che scarta i regali davanti all’albero di Natale. Già solo la convocazione rappresentava per me un grande traguardo, figuriamoci la vittoria della medaglia di bronzo ai Giochi del Mediterraneo. Sapevo che l’Inno di Mameli non era suonato per me ma per Elisa Longo Borghini che aveva vinto, però ritrovarmi su quel podio con una medaglia, con la maglia azzurra nella mia prima gara con la Nazionale, ho provato davvero una grande emozione. La mia arma vincente? Forse la freschezza. Sto notando che molte ragazze arrivano alla mia età correndo ormai da 15 anni e iniziano ad essere un po’ stufe, invece io ho tanta voglia. Per fare sempre meglio ce la sto mettendo tutta».
Ciclista, ma prima di tutto dottoressa da 110 e lode.
«Sì. Il 25 ottobre 2018 presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Torino mi sono laureata con una tesi in Pediatria presso il reparto di Endocrinologia Pediatrica con una tesi sui disturbi elettrolitici nei bambini. Conciliare bici e studio non è stato semplice, ma sono riuscita a organizzarmi al meglio. Attualmente sono iscritta a un master online in nutrizione sportiva. Mi piace informarmi, tenermi aggiornata, leggere. Seguo alcuni atleti a livello nutrizionale, anche se il tempo al momento è limitato. Per stare bene è importante avere delle corrette abitudini alimentari, più che di dieta mi piace parlare di un piano sostenibile che la persona riesca a seguire nella vita di tutti i giorni. In futuro mi piacerebbe aprire - insieme al mio fidanzato Dario Giovine, dilettante della Viris Vigevano e mio preparatore - un centro rivolto agli sportivi. Lui si occuperebbe della preparazione, io degli aspetti medici e nutrizionali. Quando finirà questa parentesi della mia vita da atleta vorrei specializzarmi in Medicina dello sport. Per chiudere il cerchio».
Le tue ambizioni per il finale di stagione?
«Dopo un periodo in altura a Sestriere, un posto che amo non lontano da casa, sono tornata in gara a Plouay, poi ho fatto Giro di Toscana e Tour de l’Ardèche. Per il mondiale non sono stata convocata, ma il ct Salvoldi non poteva decidere diversamente perché il percorso era abbastanza facile. L’ultimo appuntamento a cui punto è il Giro dell’Emilia a inizio ottobre. L’arrivo sul San Luca mi piace molto. Sarebbe bello chiudere la stagione con una bella vittoria da dedicare alla WNT Rotor. In questo gruppo mi trovo bene, mi ritengo fortunata. La squadra mi ha sostenuto, offrendomi un calendario adatto alle mie caratteristiche, un bell’ambiente con compagne e staff, tutti gli strumenti necessari per ben figurare in corsa. Complessivamente per il team è stata una stagione molto positiva, per essere il nostro primo anno a questo livello possiamo ritenerci soddisfatti, anche se l’ambizione è quella di migliorarci sempre di più».
da tuttoBICI di settembre
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