"Coppi ultimo". E' il 1959 l'ultima stagione tra i professionisti con la maglia della "Tricofilina". Le grandi ali dell'Airone non volano più alte come un tempo, anzi il destino è alla porte, si chiuderanno definitivamente quella maledetta fredda mattina del 2 gennaio 1960. Questo il "Campionissimo" che un cantore quale Marco Pastonesi vuole raccontare.
Ad organizzare l'evento nel tardo pomeriggio di ieri, giovedì 19 settembre, la storica U.S. Pontedecino che con il Giro dell'Appennino, primo nel 1955 , ha contribuito a rendere grande Coppi. L'ultima vittoria su strada, per distacco, conquistata come sempre staccando tutti e arrivando al traguardo senza alzare le braccia al cielo. Un piemontese schivo e riservato al quale non piaceva apparire, ai giorni nostri sarebbe decisamente fuori posto.
La location è quella austera del palazzo del municipio di Pontedecinmo durante il Ventennio, come tutti i Comuni del comprensorio genovese, era stato chiamato a dar vita alla Grande Genova. Siamo a due passi da dove è crollato il Ponte Morandi che ha finito di spezzare in due quella Grande Genova che già da tempo aveva abdicato nella ricerca velleitaria del milione di abitanti. Sembrava il traguardo più importante da raggiungere alla fine della seconda metà del secolo scorso, la panacea di tutti i mali.
La sala è colma, certo i presenti in buona parte sono "datati" ma questo aiuta ad immedesimarsi nelle storie raccontate da Pastonesi a fronte delle garbate domande poste da Antonello Mura circa il suo libro: "Coppi ultimo". Il giornalista racconta il Coppi del 1959, decisamente stanco, bel lontano dagli anni migliori, ma, mai domo. La classe è inalterata, però non basta, inesorabilmente gli anni passano per tutti e nel ciclismo, capita, ancora più in fretta. E' sfinito, consumato, si lamenta persino che alcune corse, vedi il Giro del Lazio prova di Campionato Italiano, sono troppo dure. Ma vuole arrivare in fondo, per onorare se stesso, lo sponsor e soprattutto i sui gregari.
E' il Coppi crepuscolare di un'Italia che cambia veloce. Le ferite della guerra, se pur ancora vive nei cuori della gente, sono in buona parte rimarginate. Dietro l'angolo quel boom economico che inizierà nell'anno in cui Coppi muore. Ma la gente lo ama ancora, ripetiamo la gente non solo gli appassionati di ciclismo, è uno di loro. Ha visto la guerra, la prigionia, la rinascita, con le sue imprese ha riscattato l'onore dell'Italia.
Pastonesi racconta questa e tante altre storie con garbo, sfuggendo alla retorica e alla narrativa, andando a parlare con le persone, quelle vere. Quei gregari di Coppi, spesso conosciuti, protagonisti di quell'ultima romantica stagione agonistica. Avrebbe dovuto essere la penultima, in quanto per il 1960 era già pronta la San Pellegrino, squadra con la quale sarebbe arrivato l'addio alle corse nella speranza di passare il testimone a Romeo Venturelli "Meo". Uno dei tanti che era stato investito dell'ingombrante e impossibile ruolo di "nuovo Coppi".
Il libro è bello, ma raccontato da Pastonesi riesce a superarsi, ad ogni frase comprendi come l'autore ha il ciclismo nel cuore ed è in grado di intercettarne le storie più recondite, sconosciute, ma vere. "Gli sportivi applaudono e sono ammirati dai primi - racconta Pastonesi - ma tifano soprattutto per gli ultimi ai quali non disdegnano di regalare una spinta, quella stessa spinta che forse vogliono dare a se stessi". Una bella serata nella quale ritroviamo tutto "Quello che le ruote tirano su". Credeteci è tanta roba, se poi viene scritta e raccontata da Pastonesi diventa un patrimonio inesauribile. Se vi capita leggetelo, conoscerete un Coppi inedito, ma conoscerete uno spaccato di storia di questo incredibile e sempre imprevedibile Bel Paese.
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