In famiglia aveva delegato l’educazione dei figli alla moglie e agli zii: “In casa – parole di Franco – il papà era una meteora”. Sul lavoro non ne perdonava una: stroncò Gadda, distrusse Pasolini, dette del pirla a Eco. E il suo ego andava in orbita: “Settembre, casa di Venere. Il giorno 8 siamo nati io, Goethe, Ariosto… e l’armistizio”. Insomma, aveva un gran brutto carattere: e lui spiegava avvertendo che “quelli simpatici non valgono nulla… perché vuol dire che non hanno personalità e non manifestano mai la loro opinione”. Ma era il più bravo di tutti.
Domenica 8 settembre, in esclusiva su Sky Arte (canale 120 e 400 di Sky) alle 21.15, in occasione dei cento anni dalla nascita, la prima tv di “C’era una volta Gioann”, un documentario diretto da Angelo Carotenuto e Malina De Carlo su Gianni Brera, il giornalista – il più bravo di tutti - che ha cambiato lo sport sui giornali nella nobiltà, nel linguaggio, nel valore e anche nella popolarità, nella profondità, tanto da spaccarne la storia in un prima e in un dopo di lui. Coetaneo di Fausto Coppi (al pronti-via della vita lo anticipò di una settimana), lombardo di San Zenone Po (“Padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni”), Brera cominciò con la pesca e l’atletica, emigrò al calcio, attraversò il pugilato, ma si rivelò grande, grandissimo, insuperabile, infinito, nel ciclismo. S’innamorò proprio di Coppi: “Su due spalle stranamente esili s’innesta il capo che neri e lisci capelli, quasi mai pettinati, paiono rendere allungato a dismisura. E il collo, che pure è sottile, quasi si perde nella secchezza della mandibola e nella nuca folta di capelli. Il torace, per una anomalia che è invece funzionale e a tutta prima non ti spieghi, via via che scende, ingrandisce, lo sterno pare carenato come negli uccelli”. Con la pazienza regalata dal tempo amò anche Bartali: “Gino andiamo a bere. Scendi immediatamente dall’ammiraglia e fermiamoci all’ombra. Eccoti, una Gauloise. Noi si deve ancora lavorare per vivere. Coppi si danna per difendersi. Noi beviamo. Molti modi vi sono per campare. Questo è uno, e neppure tanto idiota. Alla salute, vecchio Gino. Nessun Boccaccio, per fantasioso che fosse, riuscirebbe più a vedere in te Frate Cipolla. Ora sono convinto che preghi meglio di prima e che le tue preghiere valgono di più. Allez, facciamoci un altro gotto. Al traguardo arriviamo lo stesso”.
Nei 56’55” del documentario Carotenuto e De Carlo misurano Brera nelle sue parole (“A scopare il mare…”), nelle sue convinzioni (“Giornalista, un mestiere molto facile”, ma anche “un povero cristo di scriba”), nei suoi capolavori (dall’”Avvocato in bicicletta” a “Coppi e il diavolo”), anche nelle sue errate profezie (“Mennea e Merckx – ricorda Gianni Mura -, il primo considerato carente di bistecche, il secondo di carboidrati”) e nei suoi neologismi (“Abatino – elenca Claudio Gregori – non fu coniato per la prima volta per Gianni Rivera e neppure per Livio Berruti, ma per Giorgio Albani, perché portava gli occhiali da vista. E Felice Gimondi nel 1976 passò da Nuvola Rossa, il capo dei Sioux, a Nuvola Rosa, quando indossò la maglia rosa e poi conquistò il Giro d’Italia”).
Gioannbrerafucarlo fu campione soprattutto nel trasmettere passione, dignità e coscienza ai giornalisti sportivi. Oltre a Franco Brera, Mura e Gregori, a descriverlo ci provano anche Mino Allione, Giancarlo Antognoni, Sara Balduchelli, Roberto Boninsegna, Daniele Bruzzone, Bruno Conti, Franco Contorbia, Bobo Craxi, Fino Fini, Sasha Lazzerini, Gilberto Leonardi, Giovanni Lodetti, Lino Maga, Andrea Maietti, Nicoletta Maraschio, Paolo Pulici, Angelo Roveda, Adalberto Scemma e Mario Sconcerti. Ma molto, nella sua immensità, rimane da studiare, decifrare, interpretare. “Il giornalismo e la povertà – confessò Brera – hanno strangolato lo scrittore che forse mi abitava”.
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