2400 metri di lunghezza e 5 stelle nella scala di difficoltà di pavè: sono queste le cifre della foresta di Arenberg, uno dei settori in assoluto più famosi della Parigi Roubaix. Un tempo via di passaggio per i minatori, è diventato un luogo leggendario per il mondo del ciclismo grazie al suggerimento di Jean Stablinski. Ogni anno nel mese di aprile i tifosi la prendono letteralmente d’assalto, si ritrovano con camper e tende pronti per tifare per i propri beniamini ed assistere ad una pagina di leggenda. Nonostante sia posizionato molto lontano dal traguardo, circa una novantina di chilometri, è considerato un settore decisivo per la corsa sulle pietre, il terreno ideale per gli attacchi, tremendo in caso di pioggia e per le cadute, il luogo dove non si scopre chi vincerà la famosa classica del nord ma chi di sicuro la perderà.
È piuttosto strano vedere la foresta di Arenberg deserta. È la fine di luglio e il famoso settore di pavè si presenta con un aspetto totalmente insolito: una strada fatta di pietre che sembra infinita, talmente dritta che si può vedere l’altra estremità, là dove tutto finisce. Niente tifosi, niente striscioni, niente urla e grida, quella che si respira è un’atmosfera che nulla ha a che fare con l’inferno di cui tutti parlano. Arenberg d’estate sembra piuttosto un’oasi di pace, un luogo che dà l’impressione di essere staccato da tutto il resto del mondo
Vi si giunge da una strada che fiancheggia gli impianti di estrazione di Wallers, un paesino poco lontano dalla superstrada che fa da frontiera tra realtà e leggenda. Un piccolo spiazzo conduce gli esploratori al limitare della foresta poco prima di intraprendere i 2,4 km infernali. Il pavè sulla sinistra appare come immacolato, viene automatico optare per il sentiero laterale per non rovinarlo. In alcuni punti le pietre emergono dall’erba ormai alta, ma ogni tanto compaiono dei piccoli cantieri che recintano la parte di terreno su cui si sta lavorando. È frutto dell’intenso lavoro de “les amis de Paris-Roubaix” che ormai da anni si battono per salvaguardare il prezioso pavè sostituendo le pietre, rinnovandole e rimuovendo il materiale in eccesso: è come assistere alla costruzione di un piccolo pezzo di storia.
Risulta impossibile percorrere la foresta di Arenberg senza tenere lo sguardo rivolto a terra, attratti da quelle pietre che sono tanto leggendarie quanto crudeli. Fa strano pensare che proprio in quel luogo sia stata scritta la storia del ciclismo.
«Appassionati di ciclismo vero?» ci dice ad un certo punto una figura sconosciuta, facendoci riemergere dallo stato contemplativo in cui siamo piombati. Si tratta di una donna che abita poco lontano e nel suo inglese misto a francese ci spiega qualcosa di molto interessante. Per i residenti della zona, la foresta di Arenberg è un’istituzione, un museo a cielo aperto dove sono passati tutti i più grandi campioni delle due ruote: è normale per loro riconoscere i turisti appassionati di ciclismo che percorrono l’intero tratto ammirando le pietre. Dal loro punto di vista, la foresta viene però considerata una vera e propria oasi del benessere, un luogo di ritrovo per riprendersi dalle fatiche del lavoro e fare della buona attività fisica. Vi si pratica un po’ di tutto, non importa l’età e nemmeno la preparazione, corsa e ippica in testa, ma soprattutto ciclismo senza mai passare sulle pietre per non rovinarle, una legge non scritta ma che tutti rispettano.
Arenberg infatti non è solo quei 2,4 chilometri leggendari di pavè, ma è una vera e propria riserva naturale che si allarga per molti chilometri. Intorno al settore più conosciuto si estendono decine di percorsi per accontentare ogni giorno centinaia di sportivi: prendendo delle strade laterali ci si immerge immediatamente in un bosco più fitto dove si incontrano persone impegnate in qualsiasi tipo di sport. Vi sono percorsi dedicati alla mountain bike, alla corsa, al trekking, alle passeggiate a cavallo; addirittura proprio al centro del parco di Arenberg c'è un lago di notevoli dimensioni che viene attraversato da piccole imbarcazioni. Lungo i percorsi si trovano persone di diverse età, adulti, bambini, ragazzi e coppie di anziani, in bici, di corsa, per allenarsi e fare della buona attività fisica o semplicemente per portare a spasso il proprio animale a quattro zampe.
È vedendo quei diversi volti che appaiono ancora più significative le parole della signora citata poc'anzi che descriveva in un modo quasi fiabesco il luogo in cui ci trovavamo. Esponeva con orgoglio le innumerevoli possibilità che la zona offre, ma a differenza di quanto si possa pensare non si sofferma su quel famoso tratto di pavè, quanto piuttosto su tutto il resto, quello che loro considerano un vero e proprio tempio di sport a cui chiunque può accedere.
Ritornando sul pavè si prova una strana sensazione, si ha come l’impressione di tornare in un mondo parallelo, leggendario e senza tempo che nulla a che fare con tutto il resto: soltanto percorrendolo nella sua interezza si può comprendere quanto quel luogo sia magico. Una volta giunti alla fine, non si può fare a meno di voltarsi indietro, ammirare ancora una volta quello che a tutti gli effetti è un vero e proprio tempio dello sport, ambiente di ritrovo per gli abitanti della zona, luogo dove il divario tra campione e principiante è annullato e dove ognuno può fare dell’attività nel meglio delle sue possibilità. È il valore della foresta meno conosciuto, quello della quotidianità e della spontaneità che in qualche modo contribuisce a salvaguardare il valore di sport e l’estremo significato simbolico che quel luogo rappresenta. Intanto proprio nel mezzo si intagliano maestose le pietre, ancora avvolte dall’erba e addormentate, in attesa di spazzare via per un giorno all’anno quell’oasi di pace e trasformarsi nuovamente nell’inferno del nord.
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