Vivere ogni giorno come se fosse l’unico, e se un giorno sembra troppo lungo e troppo duro, frazionarlo in tappe di quindici minuti, o magari anche di quindici secondi. Vivere ogni giorno dall’alba al tramonto, e poi vivere ogni notte, che è un altro giorno con altre luci, altri linguaggi, altre mappe, altre grammatiche. Vivere ogni salita e ogni discesa, a piedi o in bici o in sci, comunque di corsa perché siamo nati per correre, in gara o in allenamento, e poi vivere anche quelle salite e quelle discese - apparentemente in piano - della vita. Vivere, e sopravvivere, a sessanta gradi d’estate nel deserto e a meno sessanta gradi d’inverno fra i ghiacci. Insomma: vivere.
Stefano Gregoretti racconta un po’ del suo vivere e alcune delle sue vite in “Ultratrail” (Rizzoli, 272 pagine, 18 euro): Grand to Grand Ultra, negli Stati Uniti, settembre 2012, negli Stati Uniti; Yukon Arctic Ultra, in Canada, febbraio 2013; la Patagonia, gennaio 2015; Arctic to Atacama, in Cile, febbraio-marzo 2016; da Riccione a Livorno, agosto 2016; Arctic Extreme, in Canada, gennaio-febbraio 2017; e Over the Tor, in Valle d’Aosta, settembre 2017. Competizioni ai confini della resistenza, avventure ai limiti della sopportazione, viaggi alla frontiera tra paradiso e inferno. I soli luoghi, e modi, in cui questo atleta estremo, ed estremista, riesce a sentirsi, godersi e gustarsi la vita.
Tre gli incontri decisivi. Il primo con Marcello, istruttore di nuoto: “Lui mi guardò appena, mi tolse la ciambella, mi prese e mi buttò in mezzo alla piscina. Poi mi guardò e mi disse: ‘Adesso nuota!’. Vecchia scuola, quella che non prevedeva vie di fuga, alternative o piani B”. Il secondo con Gino Brocchi, ex mediomassimo e insegnante di inglese: “Siamo qui per migliorare: ci saranno momenti duri in cui io vi aiuterò, ci saranno quelli più facili e rideremo insieme, ma dobbiamo mettere le cose in chiaro: se avete bisogno di un carabiniere perché non siete in grado di guadagnarvi la mia fiducia, io so fare bene anche il carabiniere”. Il terzo con Ray Zahab, un canadese con lo spirito del romagnolo, detentore di diversi record di traversata sul pianeta Terra: “Non siamo pazzi, cerchiamo di calcolare per quanto possibile tutti i rischi e gli imprevisti, ma abbiamo il desiderio, quasi l’esigenza, di porci delle sfide sempre nuove e più impegnative e la voglia di vivere la nostra vita spremendola”.
E’ così che Gregoretti si spreme, si supera, si sorpassa. Anche a due ruote: “In Romagna la bicicletta è sacra, c’è proprio la vocazione per il pedale, forse più che per la piadina”; “A partire dai sei anni ebbi la mia, con la quale avevo il permesso di pedalare sul largo marciapiede del viale di casa, arrivare fino al parco giochi e tornare indietro senza mai poter scendere sulla strada, per un percorso totale di 400 metri tra andata e ritorno”; “A meno 35 gradi, con il vento che ci soffiava contro facendoci percepire ancora più bassa la temperatura, circondati da imponenti iceberg azzurri e accecati dalla luce del sole che si rifletteva in tutto quel bianco ghiacciato, stavamo pedalando su una fuoristrada di 42 chili”; “Quando Garmin mi propose di andare al Tor ero già fuori dal circuito delle gare, ma… potevo rendere quella esperienza più originale, coinvolgente e in linea con il mio stile e la mia filosofia. Come? Semplice: andando in bici da Riccione a Courmayeur! Così nacque l’idea dell’Over The Tor: 550 chilometri in bici, 330 di corsa (con 24mila metri di dislivello positivo), più altri 550 in bici per ritornare a casa”.
Non è certo che “una decisione di pancia” sia “cento volte meglio di tutti i possibili ragionamenti fatti con la testa”. Ma per chi sulla sua strada non incontra un Marcello, un Gino Brocchi o un Ray Zahab, per chi non riesce a spegnere il computer e si arrende a “alibi, pigrizia, scuse”, per chi alla domanda “come cavolo facciamo?” non trova risposte convincenti, rimane sempre questo “Ultratrail”, ultralettura di ultravventure. Gregoretti riesce a farci sentire con lui. “Il nostro tempo non è infinito su questa Terra, non è importante raggiungere il traguardo, ma vivere ogni giorno come se fosse l’unico che conta”. Già. “Se possiamo, dobbiamo farlo”.
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