Egan BERNAL. 10 con lode. Vince al secondo colpo, e fa il botto. Primo colombiano, primo sudamericano, terzo extraeuropeo ad iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro più prestigioso al mondo. Insomma, un uomo da record, che se non si adagerà sugli allori, ne raccoglierà ancora tanti, fino a farci annoiare. È colombiano e ama l’Italia. Il mare l’ha visto per la prima volta qui da noi, il primo bagno idem. Paolo Alberati, Gianni Savio, Giovanni Ellena, Mario Androni, adesso Beppe Acquadro: tante figure di riferimento italiane, ma è facilmente pronosticabile che ne salteranno fuori in questi giorni di ogni ordine e tipo. Tutti hanno creato un pezzettino di Egan Bernal. Ma è bene ricordare a tutti, che Egan Bernal ha in ogni caso una mamma e un papà.
TOUR de FRANCE. 9. Alzi la mano chi non si è divertito? Io da pazzi. Faccio prima a dire quando la palpebra è calata: in un paio di tappe, non di più. Per il resto è stata una corsa di adrenalina pura. Tre settimane spettacolari, grazie a un percorso disegnato benissimo e il top del ciclismo mondiale che lo corre ancor meglio. Non c’è ne voglia il nostro beneamato Giro, ma non c’è paragone. Altro mondo, altra competizione. C’è solo questo finale ristretto, infeltrito, per la grande quantità di pioggia e grandine caduta nella frazione di venerdì che ha sconvolto in pratica le ultime due tappe, ma sono assolutamente dettagli. Anche nella bufera più totale (come al Giro 2014, nella famosa tappa dello Stelvio dove le comunicazioni mandano in tilt la corsa, per appunto mancanza di comunicazioni), l’altro ieri tutto è controllato e deciso in pochi minuti. Da noi su in cima allo Stelvio le linee erano interrotte (in verità furono i social della corsa rosa a parlare di neutralizzazione quando la gara non era stata neutralizzata); in cima all’Iseran prendevano anche i cellulari. Tour e Giro: la differenza la fa il sistema Paese, non la corsa.
Julian ALAPHILIPPE. 9. È il simbolo indiscutibile di questo Tour champagne. Lui è saltato nel senso buono del termine subito e da lì in poi è stato divertimento puro. Dal un lato una Ineos meno dilagante; dall’altra convinzione da parte di tutti che la sfida fosse apertissima, perché questo Alaphilippe aveva le ore contate. Invece D’Artagnan ha lottato come un leone, fino alla fine. O tutto o niente, rischiando davvero di prendere tutto. Una resistenza che difficilmente scorderemo, e che va dritta nelle pagine di storia. Due tappe vinte, quattordici giorni in maglia gialla: non male per uno che corre e vince da febbraio. E cosa vince: Strade Bianche, Sanremo, Freccia Vallone: mica corse in Cina. Esce da questo Tour ingigantito e amato, forse con qualche dubbio in più: e se preparasse anche il Tour? Questa è la nuova sfida. Capire se questo può essere per lui possibile.
Team INEOS. 9. Più passano gli anni e più dobbiamo ammettere che Nibali è stato un mostro a interrompere la dittatura dello squadrone creato da Dave Brailsford: settima vittoria negli ultimi otto Tour. Se non ci fosse stato Vincenzo sarebbe stato filOTTO. Va detto però che quest’anno il team britannico è stato più umano, meno invasivo, ha lasciato più campo e spazio: diciamo che ha fatto fare le cose agli altri per poi sistemare negli ultimi tre giorni ogni cosa. Sono stati parecchio criticati, non dal sottoscritto, che ha fatto un tifo forsennato per l’impresa impossibile di Alaphilippe, ma non ce l’ho fatta a gettare il cervello nel cassonetto per muovere critiche assurde ad una squadra che non ha sbagliato nulla.
Peter SAGAN. 9. Vince la sua bella tappa: e sono dodici. Si porta a casa la maglia verde della classifica a punti: e fanno sette. Ogni giorno fa qualcosa di importante, per mettersi in mostra e fare spettacolo. Si complimenta con i vincenti e rincuora gli sconfitti. Invita il nostro Vincenzo a crederci e a far vedere chi è per davvero Vincenzo. Firma autografi pedalando sul Tourmalet. Insomma, fa cose da Sagan.
Geraint THOMAS. 8. Senza Froome è chiaramente lui il faro della nuova/vecchia Ineos. Parte col numero 1 e si comporta da quello che è: un numero uno. Orchestra con i suoi e il bimbo Bernal l’azione a tenaglia su Alpahilippe, che è duro a morire. Lo mettono in mezzo, e lo suonano di santa ragione. Poi è la strada a dire chi è il più forte, come sempre. Sull’Iseran parte Thomas, e viene ripreso. Parte Bernal e vince il Tour. Come scriverebbe Gabriel Garcia Marquez: “realismo magico”.
Giulio CICCONE. 8. È uno dei pochi reduci del Giro, e corre con grande sofferenza anche il Tour, ma ne esce con una dimensione di corridore tutto tondo. Cerca un successo di tappa, trova la maglia gialla, che dopo due giorni è costretto a restituire allo scatenato Alaphilippe. Per essere un debuttante se la cava alla grande.
Vincenzo NIBALI. 7. Lo sapete, sono di parte. Non l’ho mai nascosto e mai mi nasconderò. Ma come ho già avuto modo di scrivere durante questo Tour, Enzo ha commesso un grave errore: scegliere di correre il Giro anziché il Tour, che era molto più adatto ai suoi mezzi, alle sue caratteristiche di “rouleur”. Tante le vette sopra i duemila metri, e non è un caso che la vittoria di tappa arrivi proprio 2365 metri. Soffre in silenzio, e ribadisce al mondo che ‘un Tour si onora fino in fondo’. Non solo lo dice, lo fa.
Mikel LANDA. 7,5. Anche lui è un reduce del Giro: al quarto posto sulle strade rosa abbina il sesto posto in Francia. Non è brillantissimo, ma è di gran lunga il migliore dei Movistar.
Elia VIVIANI. 7,5. Sfacchina anche in salita, onorando la maglia gialla e il compagno di squadra che la veste. Tira in pianura e anche in salita, perché a lui tutti assieme, compresa la maglia gialla, gli tirano le volate. Una volata la vince, nelle altre ci va regolarmente vicino. Conferma di essere un corridore di altissimo livello: è nell’elite.
Niccoolo BONIFAZIO. 7. Tanti piazzamenti, compreso il terzo di questa sera a Parigi. In pratica fa tutto da solo, e sarebbe il caso che la Total pensi a creare un “treno” per questo ragazzo che merità considerazione.
Calel EWAN. 9. È lui l'uomo volante, il velocista tascabile. Vince tre tappe, nessuno come lui, compresa quella di questa sera a Parigi. Per lui è la 10° vittoria stagionale, tra le quali le due al Giro d'Italia. Volata contro vento per tutti. Per Bonifazio, per Matteo Trentin (voto 8), ma lui sembra sospinto da una mano invisibile che lo porta fin sul podio finale.
Fabio ARU. 7. Non doveva neanche esserci, invece c’è e si fa vedere benissimo. Alla fine cara grazia che c’è lui, perché degli UAE Emirates ben pochi mettono il naso la davanti. Chiude nei primi quindici, soffrendo parecchio sulle Alpi. Fa fin troppo a presentarsi in Francia, con un mese di corse sulle gambe e un’operazione all’arteria femorale in primavera. Se questo è il preludio di una ripresa, prepariamoci allo scatto. Fabio c’è!
Ciclismo ITALIANO. 7,5. Tre vittorie di tappa (Viviani, Trentin e Nibali), la maglia gialla di Ciccone: alla vigilia pensavate di raccogliere tanto? E poi c’è il rilancio di Aru, senza contare i regolari piazzamenti di gente tosta e sempre presente, come Colbrelli, Pasqualon, De Marchi e degli stessi Viviani e Trentin. Per esserci presentati in Francia con soli quindici uomini e averne persi per strada un paio per incidente (De Marchi e Nizzolo) il bilancio è più che buono.
Stefan KRUIJSWIJK & Emmanuel BUCHMANN. 6,5. L’olandese non ha un solo giorno di crisi, ma neanche di assoluta eccellenza. È bello regolare, esattamente come il tedesco. Fanno corsa di coppia. È probabile che questa sera vadano anche a cena assieme.
Adam YATES. 4. Adam era la punta e arriva ad oltre un ora dalla maglia gialla. Simon (voto 7), a quasi due, ma almeno vince due tappe. La squadra, che si trova subito sguarnita di uomo classifica, cerca di medicare la situazione con una strategia di corsa garibaldina e francamente sono bravissimi: quattro vittorie, per un 8 in pagella.
Romain BARDET. 4. Se non l’avesse annunciato, il suo Tour alla fine sarebbe perlomeno da sufficienza, ma non può certo essere una maglia a pois a colmare la grande amarezza per un Tour corso a rincorrere. Voleva vincere, e il risultato minimo era il podio. Arriva a mezzora: 15°. Dietro ad Aru.
Thibaut PINOT. 5. Mi sarebbe piaciuto tanto vederlo sul podio, anche sul gradino più alto. Mi è simpatico Tibaldo, e speravo davvero che potesse essere sulle Alpi protagonista come sui Pirenei. Ma il 26 luglio è una data funesta per questo ragazzo transalpino che ama l’Italia. Poteva essere protagonista su strade a lui care e amiche, visto che lì è di casa. Invece è andato a casa.
Nairo QUINTANA. 5,5. C’è chi corre a luci spente, e chi come Nairo con le gambe vuote. Non era al top e lo si è capito subito. Ha preparato solo il Tour e non si capisce come sia possibile andare così piano per uno come lui. È vero, vince il tappone del Galibier, ma da uno come lui era lecito attendersi molto di più.
Rigoberto URAN. 5,5. Prepara solo una torta, e alla fine gli esce un po’ bruciacchiata. È meno brillante ed efficace di altre volte. Lui è un duro, uno tosto, che difficilmente molla, ma in questo Tour va in debito di ossigeno un po’ troppe volte. Chiude con un settimo posto che porterà sicuramente punti alla squadra, ma è chiaro che non fosse questo il suo obiettivo.
all’UCI. 5. Alla riforma, che deforma il calendario e i budget delle squadre. Il World Tour sempre più World, e la seconda divisione (leggi Professional), sempre più in affanno. E dire che questo Tour per lo meno fa vedere un Giulio Ciccone, due giorni in giallo, e Egan Bernal, primo sudamericano nell’albo d’oro del Tour, che arrivano dalla Bardiani Csf e dall’Androni Giocattoli. Squadre satellite, formazioni incubatrici necessarie per far sbocciare giovani ragazzi o far maturare qualche anno ragazzi che non sono ancora pronti per il gran salto (Colbrelli, Davide Ballerini, Masnada, Vendrame e via elencando…). Manca un format semplice, chiaro e duraturo. Ma c’è chi corre e chi pensa. E il fatto che loro pensino ci preoccupa assai.
Made in ITALY. 10. A fare festa questa sera ci sarà anche tanta Italia: Castelli (abbigliamento), Sidi (scarpe), Kask (caschi) e, soprattutto, Pinarello. Per Fausto Pinarello si tratta del 15° Tour. Nessuno come lui.