Se il posto di guida all’ammiraglia è la scrivania di tutti i direttori sportivi, per lui è anche un altare. Alla quarta tappa del Giro della Valle d’Aosta ha esposto un piccolissima candela tibetana (regalo di una fotoreporter) sul cruscotto, alla quinta ha avvolto un serpente di pezza (proprietà della figlia) al volante. Perché la scienza è importante, ma lo è anche la fantasia. Perché la disciplina è fondamentale, ma lo è anche l’allegria. Perché tabelle, mappe e altimetrie sono decisive, ma lo sono anche gli amuleti.
Francesco Ghiarè, 39 anni, fiorentino, direttore sportivo del Team Cinelli Monti, è un altro uomo a due ruote. Prima bici a sette anni (“Una Daccordi, rossa con le scritte bianche”), prima corsa da giovanissimo (“G2, terzo all’arrivo”), prima vittoria alla seconda corsa (“A Borgo a Buggiano”), idolatrava non Marco Pantani o Mario Cipollini, ma Simone Biasci (“Da piccolo andavo a correre vicino a dove correva lui. Una volta perfino a Reggio Calabria”). Passista veloce, ha smesso a 25 anni (“Al terzo anno da elite. C’è sempre un momento in cui bisogna avere il coraggio di staccare, e non è mai facile”), ma la passione non si cancella, non si elimina, non si nasconde (“Prima sono andato a lavorare in un negozio di bici, poi ho cominciato a fare il direttore sportivo part-time, infine a tempo pieno”). Perché se è bello fare il corridore (“La libertà, la volontà, l’adrenalina”), è bellissimo fare il direttore sportivo (“Stando insieme con i ragazzi non si finisce mai di imparare e insegnare, insomma, sentirsi giovani”).
Il Team Cinelli Monti è nato nel 2018: “Con il matrimonio fra la vecchia squadra Fracor (quella dei fratelli Petito, Chioccioli, Colagè, Cesare Cipollini…) e il Team Velo Val Fontanabuona, dunque una formazione metà toscana e metà ligure. Tredici corridori italiani, un russo (Victor Bykanov, in Italia da quando aveva tre anni) e un colombiano (Santiago Buitrago, nella foto con Ghiaré). Under 23 con il progetto di trasformarci in Continental, che significa più budget e più organizzazione, ma anche un calendario più ricco e prestigioso. E subito la grande soddisfazione, e il grandissimo orgoglio, di vantare biciclette Cinelli, un ritorno alla strada dopo l’impegno nello scatto fisso e nel mondo urbano. Chiamati al Giro della Valle d’Aosta per sostituire il Team Friuli, ci siamo fatti onore con Santiago, piazzato nelle tappe e sesto nella classifica finale”. Dall’ammiraglia, Ghiarè incitava il suo pupillo non solo tecnicamente (“Adesso respira”, “Adesso butta giù un dente”…), ma anche moralmente (“Ricordati sempre perché sei qui”, “Pensa al tuo futuro”…).
Ghiarè si entusiasma, e si nutre di entusiasmo, un circolo virtuoso: “Tra preparatori e misuratori, rimane ancora molto spazio su cui lavorare, ed è la testa. La testa non ha confini, non ha limiti, i suoi confini e i suoi limiti dipendono soltanto da noi, dalle nostre voglie e dai nostri sogni”. E sull’onda dell’entusiasmo, riesce a fare cose entusiasmanti: “Forse folli, come l’altro giorno, quando alla fine della tappa in Svizzera sono tornato a casa in Toscana – avevo fatto una promessa alla mia compagna, non potevo deluderla – e poi sono tornato in Valle d’Aosta per la tappa successiva. Risultato: 550 km ad andare e 550 a tornare, più 120 per gli spostamenti, più 180 della tappa. Totale: 1400 km in poco più di una lunga notte. Ma ne stravaleva la pena”. Entusiasmante è anche la cura che dedica ai dettagli: “Nella tappa finale di Cervinia, per assistere Santiago e compagni nel migliore dei modi abbiamo piazzato rifornimenti di acqua con un uomo ogni quattro km, tipo Chris Froome sul Colle delle Finestre al Giro d’Italia 2018”.
Ghiarè è fatto così: disciplinato (“Il primo comandamento è etico, e sto parlando di comportamenti antidoping: che significa rispetto verso se stessi, i compagni e gli avversari”) e magistrale (“Alimentazione, allenamento e riposo: sono le tre grandi materie del ciclismo”), teorico (“Con i propri corridori bisogna riuscire a stargli addosso senza farglielo pesare”) e pratico (“Solo così si capisce chi fa il corridore e chi dice di farlo”), soprattutto genuino. Tant’è vero che, se gli si chiede quale sia stata la maggiore gioia ciclistica, risponde così: “Quel traguardo a premi di cui solo noi sapevamo l’esistenza. In palio un prosciutto crudo. Sedici uomini in fuga, ci piazzammo secondo, terzo e quinto. Un trionfo. Perché il prosciutto andava al secondo”.