Pur decapitato dei due primattori Froome e Dumoulin, resta un Tour di livello stellare: dal 6 al 28 luglio, il meglio si concentra ancora tutto in Francia. Meglio sarebbe dire in Belgio, visto che la Grande Boucle ha scelto di partire da Bruxelles per onorare Eddy Merckx, che mezzo secolo fa conquistò il primo dei suoi cinque successi. Alla cinquina puntava anche Froome, prima di schiantarsi nella ricognizione della crono del Delfinato: ahinoi, è il ciclismo. Dumoulin, invece, mirava a un albo d’oro tra Italia e Francia, prima di schiantarsi al Giro e restare prigioniero di una guarigione lenta: ahinoi, è sempre il ciclismo.
Il ciclismo racconta che vincere un Tour significa entrare nella storia: per riuscirci quest’anno bisognerà passare un esame dove i chilometri a cronometro sono 55, equamente divisi fra la prova a squadre del secondo giorno e quella individuale della seconda settimana, le tappe di montagna sette con cinque arrivi in salita, le frazioni per velocisti altrettante. Inutile aggiungere che a far compagnia ai 176 iscritti saranno facilmente il caldo e sicuramente la solita folla strabordante, dove ogni cinque spettatori quattro sono francesi. Tutti con la speranza di vedere sventolare finalmente il loro tricolore sui Campi Elisi, come non succede da oltre trent’anni: l’ultimo a riuscirci resta Hinault, anno 1985, secolo scorso. Ecco le dieci facce che hanno le maggiori chances di festeggiare in giallo nel cuore di Parigi.
Geraint Thomas. Vince perché un anno fa ha capito di non essere soltanto un ottimo luogotenente, perché senza Froome avrà meno briglie tattiche, perché il disegno del tracciato è perfetto per le sue caratteristiche. Non vince perché la sorte non sembra amica del suo team, come lui stesso si è accorto di persona cadendo in Svizzera.
Egan Bernal. Vince perchè va forte in salita, a cronometro e pure in discesa, perché le due corse a tappe in cui si è collaudato (Parigi-Nizza e Svizzera) le ha conquistate entrambe, perché la squadra lo ha designato leader alla pari con Thomas. Non vince perché la sfortuna ha con lui un occhio di riguardo.
Nairo Quintana. Vince perché è l’ultima occasione per dimostrarsi degno di farlo, perché deve riscattare due spedizioni in Francia in cui si è sgonfiato in fretta, perché negli ultimi due anni sul podio di un grande giro c’è salito una volta sola. Non vince perché da tempo dà l’impressione di aver già dato il meglio.
Alejandro Valverde. Vince perché a 39 anni corre con l’ambizione e la forza di un ragazzino, perché si è rialzato bene da una primavera storta, perché è uno che nei dieci al Tour ha un posto quasi fisso. Non vince perché nelle grandi corse a tappe un giorno a rovescio gli capita puntualmente.
Vincenzo Nibali. Vince perché è il più titolato in circolazione alla voce grandi giri, perché vuole riprendersi ciò che gli è stato tolto un anno fa quando uno spettatore lo buttò in terra sull’Alpe d’Huez, perché l’esperienza a volte conta più del resto. Non vince perché l’idea di esser protagonista vincendo una bella tappa resta quella principale.
Jakob Fuglsang. Vince perché è un corridore diverso rispetto al passato, perché in primavera ha dimostrato di saper andar forte su tutti i terreni, perché avrà accanto un’ottima squadra. Non vince perché la svolta nelle corse di un giorno non è detto che funzioni anche quando si gareggia per tre settimane.
Romain Bardet. Vince perché da cinque Tour è fisso nei primi dieci, perché ha l’età e la maturità per riuscirci, perché quest’anno non ha buttato via una goccia di energia pensando a luglio. Non vince perché la crono resta il suo punto debole e ai rivali di classifica paga tributi pesantissimi.
Thibaut Pinot. Vince perché si è lasciato convincere dai suoi tecnici a puntare tutto sul Tour, perché non ha paura di andare all’attacco, perché il gran finale della stagione scorsa ne ha confermato le grandi qualità. Non vince perché gli basta un giorno di crisi per mandare all’aria tutto.
Rigoberto Uran. Vince perché c’è andato vicinissimo un paio di stagioni fa quando finì secondo, perché deve riscattare la delusione di un anno fa, perché si presenta con una squadra solidissima al fianco. Non vince perché a volte è un po’ attendista e contro attaccanti veri come il suo connazionale Bernal potrebbe non bastare.
Adam Yates. Vince perché comincia a invecchiare senza aver lasciato un segno, perché il gemello Simon in cima ad un grande giro c’è arrivato e lui ancora no, perché ha chiesto la miglior compagnia possibile per riuscirci. Non vince perché il Tour, come il Giro, si conquista in tre settimane e lui nelle gambe non ha ancora dimostrato di averle.
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