La bici “corrisponde ancora alla sagoma umana che fu il modello di Leonardo da Vinci”, la bici “fu concepita come estensione del corpo umano”, la bici “così come gli strumenti musicali, non è dotata di un’energia visibile ma solo di quella che ne attraversa i meccanismi e che viene dai piedi, dalle mani o da una pendenza”, la bici “moltiplica forze, tratta informazioni, combina energie diverse e si adatta a diverse situazioni”, la bici “ci trasporta e si adatta all’eccesso di peso, alle capacità, ai vizi, ai capricci”, la bici “ci guida”, la bici “ci capisce”.
Lo Zen è “meditazione”, la via verso lo Zen “è diventare consapevoli di ciò che osserviamo giorno dopo giorno mentre viviamo con i nostri automatismi”, lo Zen “non offre divinità da adorare”, lo Zen “parla di un risveglio di fronte a ogni esperienza”, lo Zen “non fornisce risposte ma fa sì che ognuno cerchi le sue, anche senza l’intenzione di trovarle. Si cerca per il gusto di cercare, senza aggrapparsi a qualche certezza”, lo Zen “non obbedisce a un’istituzione gerarchica e non incoraggia strutture di potere”, lo Zen è “prendere il tè”.
“Bici Zen” (Utet, 152 pagine, 12 euro, E-book compreso nel prezzo) è il saggio scritto dall’argentino Juan Carlos Kreimer, che parte da questo principio (o arriva a questa conclusione): “Teoricamente un ciclista non è un praticante Zen, ma ciò che fa si può considerare Zen. Chi è lui, se non quello che fa?”. Per esempio. Se per lo Zen “respirare è il modo migliore per connetterci con il qui e ora”, allora “la prima cosa che si percepisce interiormente quando si pedala è il suono disteso prodotto dall’aria che entra ed esce dalle cavità del naso e della bocca”. Se chi fa meditazione e chi va in bici sono solitari, allora “essere da soli non significa essere isolati, ma stare con se stessi, senza la necessità di una risposta o della presenza di qualcun altro che ci faccia sentire in compagnia”, tant’è che “non avremo timore di essere considerati strani, perché in quello spazio riusciremo a stare in pace”. Secondo lo Zen, “se non siamo sereni in bicicletta, o quando facciamo manutenzione, è molto probabile che trasmetteremo i nostri problemi al mezzo”. E spiega: “La bicicletta può essere nelle condizioni ideali, ma se siamo disturbati da qualcosa che riguarda il suo funzionamento oppure la realtà circostante, fino a quando non avremo la mente sgombra la bici non funzionerà al meglio”.
Ha intuizioni meravigliose, Kreimer: “Pedalo, e senza rendermene conto i minuti passano, perché sono nel momento presente che avanza e si muove come se stesse seguendo la ruota anteriore. Il tempo e lo spazio sono la stessa cosa”. Ha spiegazioni chiare, Kreimer: “Subito dopo essere partiti, quando la mente è occupata dal dialogo tra le gambe e i pedali, i pensieri tendono a scomparire, la mente si rilassa e il pedalare diventa qualcosa di più grande delle parti coinvolte”.
Kreimer riporta una storia probabilmente inventata, ma eloquente. “Un maestro Zen vede cinque allievi tornare dal mercato in sella alle loro biciclette. Al monastero chiede loro perché sono andati in bici. Il primo risponde: ‘Perché riesco a trasportare questo sacco di patate e sono contento di non averlo dovuto portare in spalla’. Il maestro commenta: ‘Sei un ragazzo sveglio e da vecchio non dovrai camminare piegato come me’. Il secondo risponde: ‘Maestro, quando vado in bicicletta posso guardare gli alberi e i campi che mi sfilano davanti’. L’insegnante dice: ‘I tuoi occhi sono aperti e tu vedi il mondo’. Il terzo risponde: ‘Quando pedalo l’universo penetra la mia mente’. L’insegnante dice: ‘La tua mente funzionerà in modo perfetto, come la ruota appena regolata’. Il quarto risponde: ‘Quando pedalo mi sento in armonia con tutte le creature’. L’insegnante annuisce: ‘Sei sul sentiero dorato’. Il quinto studente risponde: ‘Io vado con la bicicletta solo per andare in bicicletta’. Il maestro siede ai suoi piedi e dice: ‘Ora sono io il tuo allievo’”.
Già: andare in bicicletta solo per andare in bicicletta.
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