Il 10 giugno, settant’anni dopo. Rifatta la tappa: la Cuneo-Pinerolo del Giro d’Italia 1949. Rifatti i chilometri: 254, su e giù da Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere. Rifatto l’ordine d’arrivo: primo Coppi, secondo Bartali, terzo Martini. Non una carnevalata, ma una rievocazione storica. Non una nuova edizione del Trofeo Fantozzi, ma una vecchia corsa risorta, una vecchia storia riscritta, una vecchia impresa resuscitata.
Una giornata che, chi l’ha rivissuta, già definisce “epica” e “memorabile”. Trentadue ardimentosi, sedici arrivati e sedici ritirati, autofinanziati con una quota di 30 euro ciascuno e sostenuti dai contributi di amici sponsor, provvisti di abbigliamento e attrezzatura d’epoca, bici d’acciaio fornite – come massimo rapporto da salita – di una corona da 47 denti e di un pignone da 25, “un rapporto impossibile” in salita per i garretti e la mentalità di oggi. Carlo Delfino, genovese, medico, storico e scrittore di ciclismo, ideatore di questa Cuneo-Pinerolo, ricorda “la cena offerta dall’Apt di Cuneo la sera della vigilia, palestra concessa dal Comune di Cuneo per dormire tutti insieme la notte della vigilia, la generosità del bar di Argentera per un lauto rifornimento, la pastasciutta dispensata dal pullmino al seguito in Francia, ma anche il ‘bidone’ di Briançon perché, visto il tempo, il sindaco aveva annullato l’appuntamento”.
Già, il tempo. “Un tempaccio – spiega Delfino -. Pioggia e grandine, sole e nuvole, caldo e freddo. Proprio come quel fatidico giorno. Per nostra fortuna siamo stati assistiti dal nostro angelo custode: Sant’Ugo Canefri”. Era un crociato del 1200, alessandrino di Castellazzo Bormida, poi genovese, specializzato nella cura degli infermi, capace di sedare le tempeste nei mari, far sgorgare l’acqua dalla roccia e poi trasformare l’acqua in vino. “Infatti: nessun incidente, nessuna caduta, solo qualche sana crisi. A cominciare dalla mia. Dopo una sessantina di chilometri ho cominciato a staccarmi dal gruppo. Meglio abbandonare subito che farmi aspettare. E poi non sono certo rimasto con le mani in mano: ho continuato da direttore di corsa, ispettore, addetto ai rifornimenti e alla comunicazione, meccanico…”. E Coppi? “Coppi c’era e c’è, perché Coppi vive, Coppi è uno di noi, meglio di noi, sempre presente. Tant’è che ne stiamo ancora parlando e scrivendo”.
E adesso? “Stiamo già pensando alla rievocazione storica della XX Settembre, la Roma-Napoli-Roma, magari nel 2020, quando saranno 150 anni dalla presa di Porta Pia. I bersaglieri si sono già proclamati entusiasti e ci forniranno ospitalità”. A questi ciclisti “diseredati”, che si arrangiano e che non mollano, non si può dire di no.
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