Tutti in piedi, per cortesia. Dobbiamo esserne capaci, se ancora sappiamo cogliere il peso di certe giornate. Visto che i grandi aspettano tutti l’ultimo tappone, stavolta davvero l’ultimo, dedico tutto il mio spazio e la mia ammirazione a un grande disgraziato: Andrea Vendrame.
Se salire a San Martino di Castrozza ha un senso che va oltre la bellezza naturale dei luoghi, questo senso è certo racchiuso nella meritata vittoria di Chaves (Nibali il suo primo ultrà), ma prima ancora nella struggente odissea del nostro ragazzo di Conegliano, maglia Androni (poi vediamo se qualcuno riesce ancora a dire che le squadre invitate fanno numero…).
Si vede da lontano che è la sua giornata, lo dimostra la pedalata saggia, ponderata, calcolata, sempre pronta a rintuzzare gli allunghi dello scatenato colombiano. Vedendoli duellare negli ultimi chilometri, sul momento viene proprio da pensare che sì, è proprio vero, prima o poi la vita sa restituire. Chaves viene da due anni di purgatorio spinto, dopo il Giro perso l’ultimo giorno da Nibali. Vendrame riemerge dal terribile incidente che ne ha bloccato lo sviluppo (d’atleta), una lunga risalita che deve terminare proprio qui, sull’uscio di casa, sulle strade della sua convalescenza.
Oggi è il giorno, viene spontaneo pensare. E’ il bel giorno in cui la vita restituisce quello che ha tolto a due bravi ragazzi, a due ciclisti seri e appassionati, da troppo tempo in lotta con la scalogna, nei suoi travestimenti più fetenti.
Invece. Invece anche stavolta la vita fa differenze, a qualcuno restituisce e a qualcuno toglie ancora. Restituisce a Chaves la gioia bambina che avevamo conosciuto tre anni fa, oggi come allora tra le braccia del pittoresco parentado. Ma all’altro no, non restituisce proprio niente: per lui, ancora prove, sempre prove. Forse per vedere chi ha la testa più dura.
Tutti assistono all’ingiustizia carogna del destino: nelle fasi più furibonde del finale, il cambio della moderna tecnologia va in avaria (due volte, un simpatico record) e per Vendrame è un’altra musata feroce, una nuova dilazione in là del corposo credito personale. Eppure Andrea è splendido anche dopo questa sberla, sa trasformare la rabbia in una nuova energia, tanto da arrivare alla fine ancora secondo, pesante e leggero quanto una vittoria, ma pur sempre lontanissimo parente della regina vittoria. Un parente plebeo che non entrerà mai nella storia, perché non ha quarti di nobiltà e non è di sangue blu.
Dopo il traguardo, per la gioia dei seppiati dentro che rimpiangono sempre il dolore e il martirio dell’altroieri, Vendrame si accascia sull’asfalto, stremato dalla fatica e forse più ancora dalla rabbia, gridando perché, segretamente chiedendo al suo Dio cosa ho fatto di male, perché voltarmi ancora le spalle, perché solo sberle e mai carezze lungo la mia strada, Signore, vuoi restituire qualcosa anche a me?
E’ una grandiosa giornata di Giro, lo dico senza l’enfasi e senza la retorica di cui non sono capace. Di Giro, di sport, di vita reale. Vendrame sdraiato sul traguardo, al termine del suo ennesimo calvario, per me vale più di un trionfo (così manderà al diavolo me, non la sfortuna, ma non importa): vale tantissimo perché dispensa dal basso della sconfitta un messaggio alto, denso, forte. Molto più buono di una banale poesia.
Recitando a braccio un copione perfetto, è lo stesso Chaves a trovare le parole migliori per Vendrame. Le pronuncia parlando di sé, all’uscita dal tunnel, nel giorno del risarcimento, ma volano sulle onde di una frequenza comune fino sull’asfalto del traguardo, cadono a terra, là dove fisicamente e idealmente sta ancora una volta Vendrame: “Veramente i sogni si avverano. Bisogna crederci, sempre crederci. Mai mollare, mai. Non solo nel ciclismo, ma nella vita. Bisogna spingere, spingere, spingere. Io ho conosciuto la paura, la paura di perdermi per sempre, ma oggi sono qui a dire che con la paura ho vinto io”.
Quando Andrea si riprenderà dalla nuova frustrazione, queste parole gli torneranno buone. Se riuscirà ad appropriarsene, a farle sue e a stringerle fortissimo, presto o tardi il giorno del risarcimento arriverà anche per lui. Intanto si tenga buona persino questa infame giornata sotto le Pale di San Martino: non ne esce vincitore, ma ne esce da gigante. Almeno per me, che non lo conosco di persona, ma che stasera gli voglio un bene dell’anima, più che a qualsiasi maglia rosa.