A come artificieri. Nel senso di addetti alla bonifica degli ordigni. Da qualche giorno in difficoltà per colpa della diretta Rai: nelle tappe di montagna prima si è sentito parlare di ‘grande sparata, anzi uno Sparone’, poi si è sentito gridare che ‘la tappa si infiamma’ e subito dopo che ‘la corsa è esplosa’, infine c’è chi ha fatto sapere che ‘vengono lanciati a bordo strada i resti’. Davanti a una situazione simile, non resta che rivolgersi a qualche santo in cielo: santabarbara.
C come Carapaz. Nel senso di Richard, la maglia rosa. Potrebbe essere l’inizio di una storia bellissima, o semplicemente di una lettera: cara paz… Primo ecuadoriano al Giro, è il primo a vestirsi di rosa dopo esser stato il primo a vincere una tappa e il primo a indossare una maglia, la bianca dei giovani un anno fa: a sentire i più esperti, è anche il primo ad aver cominciato un Giro da Bologna dopo esser stato il primo a iniziarlo da Israele, il primo ad aver fatto la crono Riccione-San Marino dopo esser stato il primo a scalare l’Etna. Dovesse vincere il Giro, sarebbe il primo ecuadoriano a riuscirci. Dicono che assomigli a Claudio Chiappucci, ma lui smentisce: al Giro, rispetto al Diablo, ha vinto molto di più. Dicono anche che sia diventato scalatore dopo aver visto su internet le imprese di Pantani, ma lui smentisce: vivendo a oltre tremila metri, l’alternativa era fare il discesista. Oltre che la maglia rosa, deve difendere le sue origini: nato a pochi chilometri dalla Colombia, viene ritenuto dai colombiani uno di loro, mentre quando soggiorna a Pamplona, in Spagna, viene definito un navarro. ‘Corro solo per l’Ecuador’, ripete lui, invano: a Courmayeur, dopo poche ore, veniva raccontato come valdostano. Deve anche battersi per la sua identità: c’è chi lo definisce ‘Locomotora’, chi lo chiama ‘Aquila del Sud’, a lui interessa solo che, con quel nome da carapace, a nessuno venga in mente di dargli della tartaruga. Non rinnega le origini da contadino, ancora oggi quando è a casa aiuta la famiglia nei campi e nella stalla: qui si allena a farlo mungendo i rivali.
F come fischietto. Nel senso di strumento a fiato che produce un suono acuto. Da non confondere con fiaschetto: per suonarlo va vuotato, ma poi è difficile fischiare. Al Giro lo usano in tanti (sia il fischietto che il fiaschetto), dai direttori di corsa agli addetti nelle zone di partenza e arrivo, da chi dirige la carovana pubblicitaria alle forze dell’ordine: il paradosso è chi si fischi tanto in uno sport che non prevede l’arbitro. Con tutto questo fischiare, è normale che in corsa i corridori vadano in confusione e finiscano per prendere fischi per fiaschi. Adesso si sono messi a usare il fischietto pure loro, quando rientrano dai traguardi in quota, per farsi largo in mezzo ai tifosi che lasciano la salita: è una discesa a prova di fischio. E’ un sistema inventato da chi li aspetta a valle: è nato per caso, quando un massaggiatore a un suo atleta ha detto ‘quando stai arrivando, fammi un fischio’.
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