Richard CARAPAZ. 10 e lode. Il ragazzo di Pamplona (quando è in Europa è di stanza qui), che al Giro ha vinto anche una settimana fa a Frascati, dopo aver già vinto un anno fa a Montevergine di Mercogliano, oggi ci incanta. Ci lascia a bocca aperta, come tanti corridori al suo inseguimento: non per la meraviglia. L’ecuadoriano è straripante, incontenibile, strepitoso. Vince con pieno merito, sfruttando rivalità e debolezze. È il primo ecuadoriano a vestire la rosa e a scrivere ancora un po’ di storia. Che storia.
Simon YATES. 8. Il premio è per la tenacia, la voglia di non andare alla deriva, di resistere sempre e comunque. Il suo Giro è andato a ramengo, ma l’orgoglio ferito del britannico non è vinto. Prova a stare lì, sputando l’anima. È secondo, ma un po’ vince.
Vincenzo NIBALI. 8. Cari amici del ciclismo, di tuttobiciweb, del mondo e dell’urbe, cari amici vicini e lontani, pensatela come volete, ma ringraziamo Enzo per questo 3° posto di giornata, per qualche secondo recuperato. Ringraziamolo anche per il suo moto di orgoglio. Per le sue parole, per il suo sentimento che si traduce in parole. Ieri gli è partito l’embolo? È probabile. In questo ciclismo tutto watt e frequenze, c’è ancora spazio per i moti rivoluzionari dell’anima. E al diavolo i calcolini e i calcoloni. Se vogliamo rallentare e per certi versi contrastare l’avvento prossimo e venturo dell’intelligenza artificiale, difendiamoci con la passione. Con qualcosa ancora di umano. Evviva i Nibali che hanno sussulti d’orgoglio. Roglic gli sta sui cosiddetti? Avrà le sue buone ragioni. L’odio si dichiara, proprio come l’amore.
Miguel Angel LOPEZ. 6. Non è brillante. Oggi paga come Landa, Zakarin, Mollema e come tutti quelli che ieri si sono sobbarcati un grande lavoro (meno Carapaz, che sfacchina come pochi da giorni in salita come nessuno). È poco brillante, ma c’è tempo per recuperare.
Rafal MAJKA. 7. Si spolmona come pochi, sembra sempre sul punto di salutare l’allegra brigata, eppure anche se non si diverte neanche un po’, resta con i migliori, da migliore.
Mikel LANDA. 6. Paga le fatiche di ieri, e oggi gioca molto a difendersi più che ad attaccare. Anche perché in squadra ha uno come Carapaz: perfetti.
Pavel SIVAKOV. 8. Il giovane russo è tostissimo, e difende alla grandissima la maglia bianca. È mentalizzato per diventare grande, e ad occhio nudo già si vede di che pasta è fatto.
Primoz ROGLIC. 5,5. Le parole stanno a zero. Nel ciclismo si può dire e fare ciò che si vuole, poi c’è la strada, le gambe, l’energia. Oggi pochina. Domanda: scatta Simon Yates due volte e per due volte lo insegue. Perché? Le gambe cominciano a essere meno brillanti e anche la lucidità sembra venire meno.
Joe DOMBROWSKI. 7. Il vincitore di un Giro Baby si fa vedere, bene, in maniera chiara. È ancora un po’ lontano in classifica generale (15° a 12’56”), ma se sta bene è destinato a risalire posizioni su posizioni.
Damiano CARUSO. 9. Strepitoso il siciliano che lavora per il siciliano: non per se stesso, ma per Enzo. Uomo squadra, ragazzo intelligente e sensibile. Grande pedalatore il ragusano, che in albergo è l’unico a dormire in camera singola per via dell’influenza, ma in corsa è sempre a disposizione di tutti. Fino alla fine. Finché ce la fa.
Giulio CICCONE. 8. È probabile che Luca Guercilena abbia anche ringraziato Bruno Reverberi per avergli dato questo ragazzo gioviale e tosto come pochi. Ha portato una ventata di allegria in squadra, ma quando c’è da pedalare per sè e per gli altri è anche uno che non si tira mai indietro. Oggi, per Giulio, mi ha chiamato Dmitri Konishev, grande campione degli Anni Novanta, uno che di ciclismo sa e capisce, attualmente sull’ammiraglia della Alpecin. Mi ha sgridato: “Ieri hai avuto il braccino: per Giulio è troppo poco 7” (a lui 9, per la sportività). A Giulio 9, per quello che ha fatto e come l’ha fatto. A me fate voi, per me in realtà è stato sufficiente il richiamo di Dmitri e Claudio Cozzi.
Mercatone UNO. 1. Cinquantacinque punti vendita chiusi con un WhatsApp, 1.800 dipendenti a casa, senza alcun preavviso da parte della proprietà. Effetto del tribunale di Milano che ha decretato il fallimento della Shernon Holding srl, che nell’agosto del 2018 aveva a sua volta rilevato i punti vendita dello storico marchio, glorioso sponsor di Marco Pantani. La Shernon holding aveva annunciato un imponente piano di rilancio assicurando importanti ricavi già dal 2022. La stessa Shernon aveva presentato richiesta di concordato preventivo in continuità, garantendo comunque i presidi occupazionali fino al 30 maggio, data di un incontro fissato da tempo con il Ministero per lo Sviluppo Economico per studiare un piano di salvataggio. Niente da fare, il Pirata gettava la bandana prima di alzarsi sui pedali, loro hanno gettato la spugna e il cuore, calando le serrande. Giovedì 23 maggio, senza alcun preavviso, la Shernon ha dichiarato fallimento. A Pantani bastava uno scatto per chiudere ogni discorso; a loro è stato sufficiente un leggerissimo invio. Che stile.
Diego PELLEGRINI. 93. Sono trascorsi 26 anni. Si era ragazzi e anche lui lo era, visto che era un ragazzo del ’69, come Pavel Tonkov e Ermanno Brignoli. Bergamasco di Ranica, Diego viveva in Val Seriana, e cullava come tanti il sogno di arrivare un giorno nel grande mondo del professionismo. Aveva già un accordo di massima per passare nel ’94 alla Polti di Gianluigi Stanga. Poi sulle strade del Giro della Val d’Aosta, la sua corsa finisce drammaticamente contro un’auto ferma lungo la discesa del colle San Carlo. È un ricordo amaro, per un campione mai nato. Per un sogno infranto e per un racconto spezzato prima ancora di aprire il diario. È un ricordo per ricordare, che la vita è sacra e va protetta, in tutti i modi, perché troppi sono i Diego Pellegrini, in questi anni, che sono entrati a far parte di un gruppo troppo folto. Troppo grande. Troppo ingombrante per le nostre coscienze.